Solo 1 su 4 investe il TFR in pensione: perché gli italiani sono poco previdenti
Malgrado un italiano su quattro sia decisamente consapevole dei benefici che offre il trasferire il proprio TFR in una forma di previdenza complementare, appena il 25% ha realmente destinato questa porzione di contribuzione a un fondo pensione, a ulteriore dimostrazione che per i risparmiatori italiani trattare tematiche in materia di pianificazione finanziaria è molto problematico: […] L'articolo Solo 1 su 4 investe il TFR in pensione: perché gli italiani sono poco previdenti proviene da Economy Magazine.
Malgrado un italiano su quattro sia decisamente consapevole dei benefici che offre il trasferire il proprio TFR in una forma di previdenza complementare, appena il 25% ha realmente destinato questa porzione di contribuzione a un fondo pensione, a ulteriore dimostrazione che per i risparmiatori italiani trattare tematiche in materia di pianificazione finanziaria è molto problematico: si tende a procrastinare a causa di limitate conoscenze o di convinzioni fuorvianti.
Secondo COVIP, nel 2023, sono stati prodotti oltre 30 miliardi di euro di TFR, con 8 miliardi, pari al 25%, destinati alla previdenza integrativa. La parte restante è stata distribuita tra accantonamenti aziendali (18 miliardi) e il Fondo di Tesoreria (6 miliardi). Secondo un’inchiesta di Moneyfarm, alla base di questi comportamenti c’è un problema di scarsa informazione. Il 40% dei lavoratori non sa di poter destinare il TFR a un fondo pensione di categoria o a un fondo aperto, mentre il 25% del campione vede il TFR in azienda sempre disponibile e flessibile.
Lasciare il TFR in azienda consente di riscattare il 100% del montante in caso di cambio occupazione o licenziamento, mentre per trasferirlo alla previdenza complementare occorre attendere almeno 4 anni. Ciononostante, ogni qualvolta il lavoratore cambia datore di lavoro, perde almeno il 23%; il montante viene infatti tassato in base alle aliquote Irpef, cioè dal 23% al 43%. Il TFR trasferito al fondo pensione “accompagna” il lavoratore a ogni cambio di lavoro con solo un’aliquota finale, al momento della pensione, che va dal 9% al 15% in rapporto agli anni di permanenza nella previdenza complementare.
Per quanto riguarda i rendimenti, il TFR negli ultimi 10 anni si è rivalutato mediamente del 2,5%, mentre un piano pensionistico azionario ha reso il 5% circa, una forbice quindi di più del doppio. La spesa pensionistica ammonta al 16% circa del Prodotto Interno Lordo ed è uno dei parametri per calcolarne la sostenibilità, insidiata dalla crisi demografica e dal mercato del lavoro. D’altro canto, si fanno meno figli, si comincia a lavorare più tardi di prima in un mondo del lavoro più incerto e si vive più a lungo: un mix di fattori che compromette la relazione tra diverse generazioni su cui si basa il sistema previdenziale pubblico.
Ciononostante, solo un cittadino su quattro sta investendo in previdenza integrativa, versando mediamente duemila euro all’anno, con una rendita integrativa stimata di circa 300 euro al mese, ipotizzando l’investimento su linee bilanciate; sicuramente troppo poco per riuscire a integrare l’assegno pensionistico di base.
Dati ancora meno confortanti si riferiscono alla componente femminile dei cittadini, che percepisce una retribuzione media annua di circa 8.000 euro in meno rispetto agli uomini, che si traduce immancabilmente in un assegno ridotto per le pensionate. L’ultimo rapporto annuale dell’INPS conferma infatti che il reddito medio da pensione per gli uomini è superiore del 35% di quello delle donne. Per gli uomini, il reddito da pensione è in media di 2.050 euro, mentre per le donne è di 1.520 euro. Per le donne più giovani, tra i trenta e i quarant’anni, il tasso di adesione alla previdenza complementare si assesta al 18% contro il 28% dei coetanei uomini.
Un altro tema riguarda la scelta delle linee di investimento. Troppi giovani scelgono ancora le linee garantite, che sarebbero invece più indicate per gli appartenenti alla fascia 50-59 anni, e questa scelta purtroppo inciderà sui rendimenti futuri. Tra le soluzioni cui i giovani guarderebbero per integrare la pensione, vincono i piani individuali pensionistici integrativi, seguiti dai conti deposito; sul podio anche i fondi pensione aperti o negoziali, benché la quota di chi investirebbe sul mercato azionario si fermi al 7%.
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