I supereroi della Silicon Valley ora sono «oligarchi»

Già, quelli che prima erano portati in palmo di mano come campioni dell’innovazione e del libero mercato, all’improvviso si sono trasformati in grigi burocrati sovietici, cinici speculatori pronti ad avventarsi come rapaci sull’economia e la democrazia americane. Da Elon Musk, il cavaliere nero di The Donald, a Mark Zuckerberg, da Sundar Pichai a Jeff Bezos, con il cambio della guardia alla presidenza degli Stati Uniti sono tutti diventati spregiudicati capitalisti, pronti a vendersi al miglior offerente e in questo caso a Trump.È la fine del sogno americano, la trasformazione di un Paese democratico in un’oligarchia, la morte di una nazione che per secoli ha incarnato l’immagine della libertà, con i 93 metri della statua che svetta nel porto di New York. Sì, questi sono i toni dei commenti che ho sentito ieri, pronunciati da politici o giornalisti durante l’insediamento del 47° commander in chief. Onorevoli e opinionisti tutti vestiti a lutto, che osservavano le immagini via satellite che giungevano da Washington come se partecipassero a un funerale. Il più angosciato mi è parso Alan Friedman, che forse per il paio di occhialoni che indossava, sgranava gli occhi a ogni passaggio. Del resto, come la pensi lui, giornalista nato a New York e trapiantato a Roma, democratico fino ai capelli (quei pochi che gli sono rimasti), si sa. E per chi non lo sapesse c’è sempre il suo ultimo libro: La fine dell’impero americano. Guida al nuovo disordine mondiale. Sì, tranne qualche rara eccezione, davanti alle immagini della cerimonia di insediamento di Trump, i commentatori parevano in gramaglie e, non potendo ancora prendersela con il nuovo presidente, hanno scaricato le proprie paure sugli oligarchi, orchi moderni che con i loro soldi e il loro potere immenso, dato dalle Big tech da loro create, costituirebbero una minaccia ancor più grande per la democrazia.Certo, fino a ieri la maggior parte di questi spregiudicati capitalisti erano dipinti come eroi moderni, che con le loro aziende e i loro social facevano crescere la democrazia dal basso. La discesa in campo di alcuni di loro, ad esempio di Mark Zuckerberg, era anzi vista di buon occhio. Un magnate da contrapporre al palazzinaro con i capelli arancione. E poi il padrone di Facebook, Meta, Instagram e Whatsapp sosteneva buone cause, finanziava i democratici. Come la maggior parte dei creatori delle Big tech. Ma poi, nonostante l’appoggio, dichiarato o camuffato dei padroni della Silicon Valley, ha vinto Trump e la maggior parte dei cavalieri rossi si è convertita.Leggi l'articolo completo su La Verità

Jan 21, 2025 - 11:57
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I supereroi della Silicon Valley ora sono «oligarchi»


Già, quelli che prima erano portati in palmo di mano come campioni dell’innovazione e del libero mercato, all’improvviso si sono trasformati in grigi burocrati sovietici, cinici speculatori pronti ad avventarsi come rapaci sull’economia e la democrazia americane. Da Elon Musk, il cavaliere nero di The Donald, a Mark Zuckerberg, da Sundar Pichai a Jeff Bezos, con il cambio della guardia alla presidenza degli Stati Uniti sono tutti diventati spregiudicati capitalisti, pronti a vendersi al miglior offerente e in questo caso a Trump.

È la fine del sogno americano, la trasformazione di un Paese democratico in un’oligarchia, la morte di una nazione che per secoli ha incarnato l’immagine della libertà, con i 93 metri della statua che svetta nel porto di New York. Sì, questi sono i toni dei commenti che ho sentito ieri, pronunciati da politici o giornalisti durante l’insediamento del 47° commander in chief. Onorevoli e opinionisti tutti vestiti a lutto, che osservavano le immagini via satellite che giungevano da Washington come se partecipassero a un funerale. Il più angosciato mi è parso Alan Friedman, che forse per il paio di occhialoni che indossava, sgranava gli occhi a ogni passaggio. Del resto, come la pensi lui, giornalista nato a New York e trapiantato a Roma, democratico fino ai capelli (quei pochi che gli sono rimasti), si sa. E per chi non lo sapesse c’è sempre il suo ultimo libro: La fine dell’impero americano. Guida al nuovo disordine mondiale. Sì, tranne qualche rara eccezione, davanti alle immagini della cerimonia di insediamento di Trump, i commentatori parevano in gramaglie e, non potendo ancora prendersela con il nuovo presidente, hanno scaricato le proprie paure sugli oligarchi, orchi moderni che con i loro soldi e il loro potere immenso, dato dalle Big tech da loro create, costituirebbero una minaccia ancor più grande per la democrazia.

Certo, fino a ieri la maggior parte di questi spregiudicati capitalisti erano dipinti come eroi moderni, che con le loro aziende e i loro social facevano crescere la democrazia dal basso. La discesa in campo di alcuni di loro, ad esempio di Mark Zuckerberg, era anzi vista di buon occhio. Un magnate da contrapporre al palazzinaro con i capelli arancione. E poi il padrone di Facebook, Meta, Instagram e Whatsapp sosteneva buone cause, finanziava i democratici. Come la maggior parte dei creatori delle Big tech. Ma poi, nonostante l’appoggio, dichiarato o camuffato dei padroni della Silicon Valley, ha vinto Trump e la maggior parte dei cavalieri rossi si è convertita.


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