L’Italia nucleare nella legge di Pichetto: nuovi impianti, riconversione, fusione e la rimozione di ogni ostacolo (referendum compreso)
Lo schema di disegno di legge è un documento di 4 articoli in sei pagine e disegna la nascita di una nuova era dell’atomo, nella quale sono esplicitamente banditi solo gli impianti preistorici di prima e seconda generazione. “Vogliamo garantirci un margine ampio d’azione” ha dichiarato il ministro L'articolo L’Italia nucleare nella legge di Pichetto: nuovi impianti, riconversione, fusione e la rimozione di ogni ostacolo (referendum compreso) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Le strade sono tutte aperte, dallo smantellamento dei vecchi impianti alle nuove “destinazioni d’uso di siti”, fino alla fusione. Si prevede l’istituzione di un’Autorità per la sicurezza nucleare, piazzando davanti gli obiettivi climatici, energetici ed economici e, nel frattempo, si lavora per rimuovere ogni possibile ostacolo. A iniziare dai referendum del passato. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha presentato lo schema del disegno di legge intitolato “Delega al governo in materia di nucleare sostenibile”. Ribadendo di ritenere il nucleare di terza generazione avanzata una fonte di energia pulita, il documento di 4 articoli in sei pagine disegna la nascita di una nuova era dell’atomo, nella quale sono esplicitamente banditi solo gli impianti preistorici di prima e seconda generazione. “Vogliamo garantirci un margine ampio d’azione” ha dichiarato il ministro al Sole 24 Ore. Il testo è stato trasmesso al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi e quindi a Giorgia Meloni, a cui passa la parola. Poi arriverà sul tavolo di uno dei prossimi Consiglio dei ministri. Lo schema è stato predisposto dal gruppo di lavoro coordinato dal giurista Giovanni Guzzetta e sottolinea il ruolo che il nucleare avrebbe nel ridurre le emissioni per raggiungere i target di decarbonizzazione al 2050, oltre che “nell’aumento della sicurezza e dell’indipendenza energetica del Paese” e per contenere “i costi dei consumi energetici”. E il deposito nazionale delle scorie? Lo schema del ddl parla di “impianti di stoccaggio temporaneo e di smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito”. Per ora, lo stesso Pichetto ha ammesso che sul deposito “è in corso un approfondimento”. Nel frattempo si cerca di rinnovare gli accordi con i Paesi dai quali dovremmo riprendere i nostri rifiuti radioattivi.
Due anni per adottare i decreti legislativi – Il Governo dovrà adottare, entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge delega, uno o più decreti legislativi sulla disciplina per la produzione di energia nucleare. L’adozione avverrà su proposta del Mase, di concerto con altri ministri, previa acquisizione dell’intesa della Conferenza unificata e dei pareri del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. Ma l’intesa della Conferenza unificata è superabile qualora “non risulti possibile” raggiungerla “a seguito di reiterate trattative e tentativi di mediazione ispirati al principio di leale collaborazione”. Il Governo, esaminati i pareri, dovrà ritrasmettere i testi alle Commissioni, con le proprie osservazioni ed eventuali modifiche. Il parere definitivo dovrà essere espresso entro trenta giorni, decorsi i quali i decreti potranno comunque essere adottati. Disciplineranno produzione di idrogeno, disattivazione e smantellamento degli impianti nucleari esistenti, gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, e poi ricerca, sviluppo e utilizzo dell’energia da fusione, nonché la riorganizzazione delle competenze e delle funzioni in materia “anche mediante riordino e modificazioni della normativa vigente”.
La questione legislativa e il referendum – I decreti legislativi abrogheranno “espressamente tutte le disposizioni oggetto di riordino” e, comunque, quelle “con essi incompatibili”. Sulla questione legislativa si torna più nel dettaglio nella relazione illustrativa dove si sostiene che “il nucleare sostenibile oggi rappresenta una delle fonti energetiche più sicure e pulite. Esso non è dunque – si legge nel testo – tecnologicamente comparabile con quello al quale, anche a seguito di referendum, il Paese aveva rinunciato”. Ciò rende giuridicamente legittimo, secondo il Mase, “intervenire sulla materia senza alcun rischio che i precedenti referendari possano costituire un ostacolo normativo all’intervento del legislatore”. Anche in considerazione della giurisprudenza costituzionale. Secondo il gruppo di lavoro, un limite discendente dalle precedenti abrogazioni referendarie potrebbe rilevare solo se nel corso del tempo non si fosse “determinato, successivamente all’abrogazione, alcun mutamento né del quadro politico, né delle circostanze di fatto”. E si cita una sentenza del 2012 della Corte Costituzionale.
Il Programma nazionale, lo smantellamento dei vecchi impianti e i nuovi utilizzi – L’articolo 2 stabilisce l’oggetto della legge delega che dovrà disciplinare una serie di aspetti. Tra questi la previsione, l’approvazione, l’attuazione e il monitoraggio di un Programma nazionale, ma anche la previsione di “adeguati strumenti informativi e formativi” sul ruolo delle tecnologie nucleari e l’adeguamento della normativa italiana alle disposizioni dell’Ue. La legge delega dovrà occuparsi della disciplina su fissione e fusione: ricerca, sviluppo e utilizzo dell’energia e delle modalità di promozione delle prime due, anche incentivando gli investimenti. Secondo Pichetto non è detto che questi sostegni debbano andare in bolletta. La legge disciplinerà la disattivazione e lo smantellamento delle “installazioni nucleari” già esistenti in Italia “che non siano destinate alla ricerca”, ma anche la destinazione d’uso dei relativi siti come sperimentazione, localizzazione, costruzione ed esercizio di nuovi impianti. Di che tipo? Per la produzione di energia nucleare finalizzata a quella di idrogeno o alla fabbricazione e al riprocessamento del combustibile nucleare e, ancora, “impianti di stoccaggio temporaneo o di smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito qualora non riciclabile o riutilizzabile”. Nei quattro articoli non c’è un riferimento preciso alla tipologia di impianti di produzione di energia che possono essere realizzati, in termini di tecnologie e generazioni. L’unico riferimento è nell’articolo 3, quando si parla di criteri e principi.
Sostenibilità e sicurezza. I reattori banditi – Perché i decreti attuativi, si scrive, dovranno essere adottati perseguendo gli “obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica” e rispettando “i criteri previsti dalle norme sulla tassonomia dell’Ue, nonché i parametri tecnici individuati dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, al fine di assicurare elevati livelli di sicurezza degli impianti”. Bisognerà quindi determinare “le tipologie di impianti abilitabili, sulla base dei criteri di massima sostenibilità e sicurezza”, che utilizzino “le migliori tecnologie nucleari, incluse le tecnologie modulari o avanzate, secondo le convenzioni o le definizioni adottate dalla Aiea, in coerenza con la strategia nazionale per raggiungere gli obiettivi di neutralità carbonica al 2050”. Si è più espliciti nella relazione, dove si parla di “una cesura netta rispetto agli impianti nucleari del passato che, nella proposta, sono espressamente destinati alla dismissione definitiva, salva la eventuale riconversione dei relativi siti”. Una prospettiva prevedibile nel percorso disegnato dal Governo Meloni, che se apre una serie di interrogativi per i territori coinvolti. Ma in un passaggio successivo si chiarisce che la chiusura è, in particolare, rispetto agli “ex impianti nucleari installati in Italia (tutti di cosiddetta ‘prima’ o ‘seconda generazione’), i quali appartengono a un passato tecnologico ormai superato”. E poi si fa riferimento alle soluzioni attuali e in corso di sviluppo che, secondo il Mase “offrono livelli elevatissimi di sicurezza intrinseca e, nel caso, dei piccoli reattori modulari (Smr), anche tempi di costruzione ridotti e maggiore flessibilità nella produzione energetica”. Ma, anche rimanendo alla tecnologia di terza generazione plus, che pure viene citata nella relazione, rientra una gamma notevole di reattori molto diversi tra loro, su cui non è chiara la posizione del Mase.
L’Autorità indipendente, la semplificazione e le garanzie a carico di chi esercita – Si prevede, poi, l’istituzione di un’Autorità per la sicurezza nucleare (che assorbirà le funzioni dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) “assicurandone la massima indipendenza, ma si stabilisce che la sperimentazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti sono soggetti “a procedimenti abilitativi integrati di competenza del Mase” e che i titoli così rilasciati sostituiscono “anche variante ai vigenti strumenti urbanistici, qualora necessario”. La semplificazione è servita, perché si tratta di opere “di pubblica utilità, indifferibili e urgenti”, ma si dovrà tenere conto del lavoro che si sta facendo a Bruxelles per arrivare a standard comuni tra i Paesi Ue per quanto riguarda le autorizzazioni degli Smr. Il testo, inoltre, prevede una serie di garanzie, come adeguati strumenti finanziari, con oneri a carico del soggetto abilitato, a garanzia della gestione dell’intero ciclo di vita dell’impianto, fino allo smantellamento finale, inclusa la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito. Chi eserciterà dovrà provvedere alla costituzione di uno o più fondi destinati alla copertura di questi costi e quella finanziaria e assicurativa contro i rischi relativi alle attività nucleari.
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