Perché Meloni gongola per lo stop della Corte al referendum sull’autonomia

Che cosa dicono e che cosa non dicono i giornali sulla decisione della Corte costituzionale. I Graffi di Damato.

Jan 21, 2025 - 07:39
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Perché Meloni gongola per lo stop della Corte al referendum sull’autonomia

Che cosa dicono e che cosa non dicono i giornali sulla decisione della Corte costituzionale. I Graffi di Damato

In attesa, o nella speranza, di raccogliere anche lei qualcosa come italiana e come premier dall’”età dell’oro” annunciata dal presidente americano Donald Trump dopo il giuramento, al quale ha assistito accettando l’invito mancato ad altri che se l’aspettavano ai piani alti dell’Unione Europea, Giorgia Meloni è stata raggiunta proprio a Washington dalla notizia romana della bocciatura del referendum abrogativo della legge sulle autonomie differenziate.

“Un assist” della Corte Costituzionale per la premier e il suo governo, ha lamentato Il Fatto Quotidiano che aveva imprudentemente deriso, con altri, il ministro della Giustizia Carlo Nordio – chiamato ogni tanto “Mezzolitro” dal direttore di quel giornale – che aveva non reclamato ma soltanto previsto il verdetto dei giudici del palazzo della Consulta. I quali avevano appena bocciato alcune parti di quella legge e non potevano ragionevolmente lasciare agli elettori la possibilità, per quanto solo teorica, di bocciare anche il resto, senza che il Parlamento avesse il tempo di correggere, o cercare di correggere, com’è nel suo diritto, i punti contestati dalla Corte al provvedimento.

L’”assist” alla Meloni, per rimanere al linguaggio del Fatto rappresentando però l’umore di un po’ tutte le opposizioni, toglie dal mazzo dei referendum da esse promossi per rendere amara la primavera del governo, la prova alla quale maggiormente tenevano le stesse opposizioni per la destabilizzazione, quanto meno, che avrebbe potuto provocare nella coalizione di centrodestra. Dove i leghisti di Matteo Salvini, Roberto Calderoli, Luca Zaia eccetera, senza distinzioni fra loro, avrebbero vissuto la pur improbabile abrogazione di quel che è rimasto della legge sulle autonomie differenziate come motivo, o pretesto, per rimettere in discussione nella maggioranza i tempi concordati per altre riforme, comprese quelle del premierato e della giustizia.

Se a Washington la Meloni ha accolto la notizia della decisione della Corte Costituzionale con un sospiro di sollievo, la si può quindi comprendere benissimo. Era in ballo qualcosa di ben più della “bonaccia” concessale sulla Stampa da Alessandro De Angelis. Quel che rimane del mazzo o grappolo primaverile dei referendum promossi dalle opposizioni con le foto di rito del famoso “campo largo” davanti alla Cassazione, dove erano state depositate le firme di richiesta, non impensierisce di certo il governo, fra jobs act, gli anni occorrenti agli immigrati per chiedere la cittadinanza, lavoro a tempo determinato e responsabilità nei subappalti.

Sul tentativo di abrogazione del jobs act, comprensivo della disciplina dei licenziamenti, il Pd è addirittura nei guai per averlo a suo tempo votato in Parlamento. Esso quindi si è spostato tanto a sinistra che persino Matteo Renzi, ancora orgoglioso di quella legge voluta da presidente del Consiglio, è costretto ad allentare metaforicamente l’abbraccio ad Elly Schlein che segnò la sua rinuncia al terzopolismo promesso agli elettori nel 2022.

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