Rigenerazione urbana, 2300 miliardi entro il 2050 dal recupero di immobili

L’Italia è divorata dal cemento. Di questo passo l’obiettivo UE di consumo di suolo 0 sarà una chimera. Un problema che assume crescente rilievo, con l’espandersi delle aree urbane su tutto il territorio nazionale. Eppure un’alternativa rodata c’è: la rigenerazione urbana. Una formula che da qui al 2050 avrà ricadute positive in termini economici e […] L'articolo Rigenerazione urbana, 2300 miliardi entro il 2050 dal recupero di immobili proviene da ilBollettino.

Jan 15, 2025 - 13:31
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Rigenerazione urbana, 2300 miliardi entro il 2050 dal recupero di immobili

L’Italia è divorata dal cemento. Di questo passo l’obiettivo UE di consumo di suolo 0 sarà una chimera. Un problema che assume crescente rilievo, con l’espandersi delle aree urbane su tutto il territorio nazionale. Eppure un’alternativa rodata c’è: la rigenerazione urbana. Una formula che da qui al 2050 avrà ricadute positive in termini economici e occupazionali per un totale di 2.300 miliardi di euro e una domanda di 100.000 nuovi addetti da inserire nella filiera immobiliare (Fonte: Primo Rapporto nazionale sulla rigenerazione urbana, realizzato da Scenari Immobiliari e Urban UP | Unipol).

«La rigenerazione urbana può avere un impatto positivo su numerosi settori», dice Alessandro Gatti, Presidente di Rehalta e Vice Presidente del gruppo Gabetti.

«I protagonisti, in particolare, saranno, l’edilizia sostenibile e il segmento delle ristrutturazioni, così come i produttori di materiali eco-compatibili e di infrastrutture energetiche per la sostenibilità».

Rigenerazione urbana, i numeri

Il 7% del territorio italiano è già urbanizzato, contro una media europea del 4%. L’anno scorso, l’Italia ha perso 20 ettari di verde al giorno. Per comprendere la gravità del fenomeno, basti pensare che nel 2006 a ogni cittadino corrispondevano 348,2 metri quadri di terreno rivestito da opere artificiali. Oggi, invece, questa cifra è salita fino a 365,7 metri quadri. Complessivamente, nel 2023 una superficie pari quasi alla Lombardia (21.578 chilometri quadrati, 7,16% del territorio nazionale) è ormai ricoperta da asfalto o cemento (Fonte: Report ISPRA sul monitoraggio del consumo di suolo). Questo fenomeno sottrae terreno alle piante e anidride carbonica all’aria, diminuendo la capacità del terreno di assorbire acqua durante i nubifragi e rinfrescare l’ambiente durante le ondate di calore.

La rigenerazione urbana sta rivelandosi un volano positivo per il settore edile (come approfondito anche nell’articolo a pag. 15 di questo numero). Quali altri settori riceverebbero i maggiori benefici dallo sviluppo di questa pratica da qui al 2050?

«Chi produce tecnologia per l’efficientamento degli impianti (isolamenti, pompe di calore, impianti fotovoltaici, domotica) vedrà crescere la domanda, così come l’urbanistica e i servizi di progettazione, fino ad arrivare agli operatori della mobilità sostenibile e delle infrastrutture verdi. Visti gli imponenti finanziamenti necessari per riqualificare e rigenerare, sicuramente non potranno non essere protagonisti primari anche gli istituti finanziari».

Qual è la fotografia attuale delle città italiane dal punto di vista del consumo di suolo?

«Oltre il 7% del territorio italiano è già urbanizzato; si tratta di una percentuale elevata, rispetto alla media europea del 4%. Dato che nel nostro Paese non esiste alcuna crescita demografica, rigenerare gli edifici obsoleti e aumentare la densità delle città diventa fondamentale per preservare l’equilibrio dell’ecosistema. Il ritmo di consumo di suolo, rispetto agli anni ‘90 e 2000, è diminuito, ma rimane elevato e va fermato con urgenza, per via della conformazione particolare del nostro territorio e dei problemi idrogeologici connessi alla natura della penisola. Serviranno interventi normativi drastici.

In Germania, ad esempio, è urbanizzato circa il 5% del suolo, ma negli ultimi anni sono state introdotte norme molto rigide per frenare ulteriore consumo. Anche in Francia siamo poco sopra il 5%, mentre in Spagna al 2,8%. All’opposto l’Olanda, che è al 12%, anche per le ridotte dimensioni, ma da molti anni sta percorrendo una politica fortemente Green per quanto riguarda l’ulteriore consumo e le infrastrutture (pensiamo alla diffusione di auto elettriche e le piste ciclabili). In Gran Bretagna, invece, sono poco sotto il 7%».

Quali benefici ambientali e sociali porta la rigenerazione urbana?

«Negli stabili e nei quartieri abbandonati manca un presidio di cura del territorio, a tutela anche della cultura e delle tradizioni locali, che rappresentano il bello delle nostre città. In presenza di scarsa manutenzione e illuminazione e dove imperversa il degrado, trovano terreno fertile delinquenza e occupazioni abusive, con le conseguenze negative immaginabili per la vivibilità e il decoro. La rigenerazione dona nuova vita alle aree e strade più abbandonate. Anzi, spesso rendendo particolarmente di tendenza le zone rigenerate».

Quanto denaro servirà per raggiungere l’obiettivo europeo di un consumo di suolo pari a zero entro il 2050?

«Dare una cifra è un esercizio teorico di scarsa utilità, perché nessuno può fare previsioni a 25 anni. La certezza è che servirà una combinazione di investimento pubblico e privato. Le stime parlano di svariate decine di miliardi di euro, fra riqualificazione di edifici, creazione di infrastrutture e rinaturalizzazione – depavimentare grandi piazzali industriali in disuso, per creare parchi e giardini, ponendo così un freno all’aumento delle temperature nei centri abitati. In particolare, la riqualificazione energetica degli edifici è costosa, ma ha un impatto enorme in termini di sostenibilità futura.

Non dimentichiamo due fattori importanti. Prima di tutto, il denaro investito in riqualificazione, oltre a vantaggi evidenti in termini di qualità della vita e rispetto ambientale, comporta anche un risparmio nella gestione degli immobili. In secondo luogo, gli investimenti lanciano comunque un volano positivo per l’economia, smuovendo un indotto immenso in termini di manodopera, ricerca e produzione, a partire dalle strutture portanti per arrivare alle finiture d’arredo».

I progetti che non portano nuova occupazione di suolo hanno un costo finale per l’acquirente maggiore rispetto a quelli tradizionali?

«Più che costi, costruire su brownfield (aree industriali o commerciali abbandonate o sottoutilizzate, ndr) aumenta la complessità della burocrazia, che sappiamo in Italia essere il peggiore dei mali. Spesso e volentieri è proprio quello che spaventa un costruttore nell’affrontare una rigenerazione, siccome rallenta le tempistiche esecutive dell’intervento, in modo spesso difficile da prevedere. Vero è anche che riqualificare ha un costo maggiore, rispetto a costruire su un greenfield – cioè su un’area non utilizzata in precedenza – ma si tratta di costi che vengono assorbiti dal Mercato, perché si sta andando a proporre un immobile di ultima generazione, ma soprattutto ben posizionato nel contesto cittadino. Questo lo dico perché gran parte degli immobili da rigenerare si trova in posizioni favorevoli: pensiamo a tutti i quartieri semi-periferici di Milano riportati a nuova vita, come Porta Nuova un tempo, e lo scalo di Porta Romana ora».

I mutui Green, finanziamenti agevolati per l’acquisto, la costruzione o la ristrutturazione di immobili ad alta efficienza energetica, stanno vivendo un periodo molto positivo, per quale ragione?

«Stanno avendo un buon successo perché garantiscono una diminuzione dello spread che la banca applica, quindi uno sconto effettivo sulla rata che può arrivare al 20%».

Secondo l’ultimo ESG outlook di CRIF, i mutui Green potrebbero arrivare a rappresentare dal 24% al 30% del mercato nel 2030 e oltre il 50% nel 2050. Sono stime realistiche?

«Credo di sì, anzi sicuramente sì. Questo perché grazie ai mutui Green riqualificare energeticamente il proprio immobile diventa più conveniente. Diventano uno stimolante per la riqualificazione. Peraltro auspichiamo che in futuro lo Stato possa venire incontro a chi riqualifica energeticamente un immobile di propria spontanea volontà con un incentivo fiscale».

Gli italiani sono sensibili alle tematiche ambientali quando acquistano una nuova casa? Quanto c’è da fare per aumentare la consapevolezza?

«Ancora parecchio, la strada è lunga e fattori come prezzo e localizzazione ancora hanno il loro peso nella scelta dell’immobile. Ma l’efficienza energetica è salita nella classifica degli elementi che più incidono nella scelta dell’abitazione. In un recente sondaggio che l’Ufficio Studi Gabetti ha svolto, grazie alla partecipazione del nostro network franchising, la classe energetica è il criterio di ricerca che viene subito dopo il terrazzo/balcone, la posizione, il posto auto e il piano. Cinque anni fa, per intenderci, non entrava nemmeno in classifica».

Parliamo dei rifiuti edili. Quanti se ne producono in media in Italia ogni anno e quanto costa gestirli e smaltirli correttamente?

«La rigenerazione crea cantieri, magari meno impattanti dal punto di vista ambientale del greenfield, ma in ogni caso si impone il riciclo dei materiali da costruzione. Sono avvantaggiati tutti gli operatori che si occupano di gestione dei rifiuti edili e riciclo, che promuovono la circolarità dei materiali. Le stime indicano in un 25/30% la percentuale di rifiuti edili che finiscono in discariche abusive o dispersi nell’ambiente, con grandi differenze fra regioni di diverse latitudini». ©

Articolo tratto dal numero del 15 gennaio 2024 de il Bollettino. Abbonati!

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