Questa la nostra selezione di libri letti a gennaio 2025

“Perché il lavoro deve essere identificato con una persona, quando è altrettanto il risultato di esperienze condivise e della Storia?”, si chiede un romanzo sul ruolo dell’artista oggi, mentre altre storie attraversano i traumi del G8 di Genova, lo sguardo che rivolgiamo agli anni dell’innocenza, la storia culturale e sociale della fatica. Tra saggi e romanzi, ecco cosa abbiamo letto questo mese. L'articolo Questa la nostra selezione di libri letti a gennaio 2025 proviene da THE VISION.

Jan 24, 2025 - 03:14
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Questa la nostra selezione di libri letti a gennaio 2025

Da saggi su come la storia della fatica contenga tracce delle trasformazioni socio-culturali che abbiamo subito, tanto che oggi ha pienamente invaso anche la nostra sfera personale, a storie sul ruolo dell’artista, sul rapporto tra verità e rappresentazione della realtà, o che attraversano i traumi del G8 di Genova e il nostro legame con la crescita e le responsabilità di una vita adulta: ecco cosa abbiamo letto questo mese.

Corteo, Rachel Cusk (Einaudi)

“Perché il lavoro deve essere identificato con una persona, quando è altrettanto il risultato di esperienze condivise e della Storia?”. È attorno a questa domanda che sembra muoversi Corteo, il nuovo romanzo della scrittrice inglese Rachel Cusk, che si interroga sull’atto della creazione: sul fare arte, sulla sicurezza del proprio talento, sul come essere artista si intreccia e si oppone inevitabilmente alle altre condizioni dell’esistenza: essere donna, madre, oggetto di desiderio. Corteo – in cui emerge, di nuovo, come in ogni suo saggio o romanzo, la chirurgica precisione con cui Cusk sceglie le parole – è composto da quattro sezioni, ognuna delle quali racconta la storia di un artista identificato solo con l’iniziale G, ma basato su una persona realmente esistita. Ciò che accomuna ciascuno di loro è lo sforzo di liberarsi in qualche modo dal “fardello della soggettività” e di rimuovere “il problema della percezione”, trovando un modo per “eliminare la propria soggettività negli eventi” e quindi affrontare il grande conflitto tra verità e rappresentazione della realtà. 

Se con la “trilogia dell’ascolto” – composta da Resoconto, Transiti e Onori – Cusk aveva già ridefinito i confini del romanzo contemporaneo, smantellando ogni illusione di coerenza narrativa, qui sembra spingersi ancora oltre, affidando la storia a una serie di voci che si sovrappongono, si contraddicono e si riflettono a vicenda. Ciò che rende Corteo così potente è il modo in cui la scrittrice esplora la percezione del sé attraverso gli altri: i personaggi – in un’alternanza di racconto che segue ora la prima, ora la terza persona – offrono spunti di riflessione sulle dinamiche di potere, sull’autenticità e sul bisogno di essere visti. Alla fine di Corteo resta questo: la sensazione di essere stati costantemente sul punto di scoprire qualcosa di essenziale, che però continua a sfuggirci, perché le bellezze inattese di cui diventiamo partecipi restano sempre più grandi di noi.

Splendeva l’innocenza, Roberto Camurri (NN)

Roberto Camurri, al suo quarto romanzo, è un po’ il Kent Haruf della pianura emiliana, ben più simile, anche se in proporzioni ridotte, alle praterie degli Stati Uniti di quanto potremmo immaginare. In questo libro, in uscita il 31 gennaio, resta sempre agli estremi del territorio, ma stavolta ci trasporta sulla riviera Ligure, a Monterosso, e nel bel mezzo dell’inverno ci riporta all’estate, quella stagione infinita nel suo ciclico ripetersi, che ci appare come il culmine dell’anno, in cui riponiamo tutti i nostri sogni più vivi, che accoglie tutte le promesse, e l’entusiasmo degli inizi, ma per contraltare anche la disillusione, e ci fa sentire con più malinconia l’essenza della fine.

Splendeva l’innocenza è un rito di passaggio tra età, uno sguardo lucido da rivolgere all’innocenza, alla speranza, all’ingenuità e a volte alla leggerezza con cui da adolescenti si guarda al mondo. Una pratica di aderenza tra ciò che si è diventati e ciò che si era, una domanda rivolta a tutte quelle forze visibili e invisibili che ci spingono e che ci informano. Non a caso l’esergo viene da un testo di Francesco Guccini, “Canzone delle domande consuete”: Se ci sono, non so cosa sono. E per continuare, perché davvero sembra la sinossi perfetta della storia raccontata da Camurri: “E siamo qui spogli in questa stagione che unisce / Tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove / Non so dire se nasce un periodo o finisce / Se dal cielo ora piove o non piove”. Il protagonista del libro, Luca – proprio come Luca del bellissimo film Disney, ambientato negli stessi luoghi – ha quarant’anni, e la sua vita sembra impastata di territorio, il paesaggio ha un ruolo fondamentale in questo libro, la Liguria, con la sua costante dicotomia tra terra e mare, vento e pioggia, il rischio idrogeologico che la segna, la paura del fango, delle mareggiate, che la terra letteralmente ti crolli sotto i piedi, e al tempo stesso i bar, gli aperitivi, il surf, i milanesi, ma non solo, anche i parmigiani, e i torinesi, che la riempiono per i week end, che ci scappano dalle città, che la usano come proiezione dei loro sogni di fuga, senza scomodare Bali.

Attraversando il trauma del G8 di Genova, ma anche quello degli eventi atmosferici estremi causati dal cambiamento climatico, Luca si immerge in se stesso, alla caccia della sua immagine, attraversando paure, rimorsi e senso di colpa, quello che viene considerato sintomo di una personalità sana, ma che pure va sanato, perdonandosi, per rinascere, liberarsi dalle zavorre del passato, e abitare consapevolmente una nuova forma, una nuova età.

Tagliare il nervo, Anna Pazos (Nottetempo)

Per quanto si possa essere privilegiati, avendo la possibilità di studiare e di viaggiare per l’Europa e per il mondo alla ricerca di esperienze nuove da raccontare, avere vent’anni non è mai semplice. Ci si perde in convinzioni che poi si rivelano poco concrete alla prova dei fatti, si vive nel malessere senza che ci sia una causa vera e propria e si resta delusi da persone ed esperienze, soprattutto quando le aspettative sono troppo alte – ovvero quasi sempre.

Tagliare il nervo, romanzo/memoir della giornalista catalana Anna Pazos, racconta il disorientamento che si vive tra i venti e i trent’anni in una maniera vivida e cruda, con un leggero autocompiacimento che però si disintegra di fronte alla realtà spesso strampalata degli episodi raccontati. Fughe, delusioni, aspirazioni popolano questo memoir in cui non è difficile riconoscersi, e in cui l’osservazione della realtà, sempre in prima persona, è frutto di uno sguardo originale e intelligente. 

Un viaggio tra la Grecia, Israele, Palestina e Turchia, per poi raggiungere in barca a vela le Canarie e infine approdare a New York, la capitale del sogno americano, nella continua illusione di imboccare la strada “giusta” e di trovare la propria realizzazione professionale e sentimentale. Ma, come scriveva il latino Orazio, “Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt”: spostarsi da un luogo all’altro non è una soluzione a un conflitto interiore.

La riflessione che ne scaturisce è che il potenziale fallimento delle proprie aspettative non dipende dalle persone che si incontrano e dalle esperienze che ci si porta a casa, ma dalle illusioni che ci si costruisce continuamente, inseguendo miraggi imposti dalla società. Esplorare e tentare, tuttavia, è un privilegio a cui non bisogna rinunciare, a costo di non avere certezze sul luogo preciso da chiamare casa.

Storia della fatica, Georges Vigarello (Il Saggiatore)

Oggi quasi l’80 per cento della popolazione attiva associa il lavoro al termine “stress” e la percentuale di persone affette da burnout aumenta di anno in anno. Nella società contemporanea, infatti, l’illusione di una qualche emancipazione, del distacco dell’io dalla società, si infrange in una stanchezza interiorizzata e mentale, percepita come un ostacolo insuperabile alla propria indipendenza.

Ogni sforzo fisico o mentale, del resto, racchiude un racconto, una descrizione di ruoli sociali e persino una promessa di redenzione. I tentativi di alleviare la fatica, nella storia, rivelano anch’essi tracce delle trasformazioni sociali: dall’uso di tabacco, caffè e sostanze stimolanti – tra cui le droghe – in epoca moderna, oggi sono le terapie psicologiche, la meditazione e le pratiche di ascolto interiore a combattere stress e burnout.

Storia della fatica offre un’analisi affascinante e trasversale della stanchezza, attraversando epoche e culture per svelare il suo legame con le strutture socio-lavorative, i cambiamenti corporei e l’autopercezione, l’impatto delle guerre e l’evoluzione dello sport. Dalla stanchezza fisica estrema del contadino medievale al moderno impiegato assorbito dallo schermo di un computer o di uno smartphone, la definizione stessa di fatica ha sempre riflettuto il nostro rapporto con il corpo, la società e le sue aspettative.

Attraverso testimonianze scritte e documenti d’archivio, il sociologo della École des hautes études en sciences sociales, Georges Vigarello, esplora come i simboli e le manifestazioni della fatica si siano evoluti nei secoli, culminando in un’epoca contemporanea segnata da uno sfinimento che non si limita al corpo ma invade anche la mente, andando a travolgere pesantemente la vita personale.

L’invito di Vigarello è quello di comprendere le radici storiche del fenomeno della fatica, così da trasformarla in una inevitabile compagna di vita che, se non può essere eliminata, può essere se non altro gestita e controllata.

Con gli occhi aperti, Francesco Tormen (Il Saggiatore)

Insieme ai tanti studi e saggi legati al nostro sonno, si sente – finalmente – parlare sempre più spesso anche di sogno e mondo onirico, e in particolare di cosiddetto sogno lucido. Accantonato a lungo come semplice fenomeno paranormale, ma ampiamente esplorato come fenomeno nell’antichità, il sogno lucido, come ci racconta dettagliatamente Francesco Tormen, docente di Lingua e letteratura tibetana all’Università Ca’ Foscari di Venezia e membro del comitato ordinatore del master in Contemplative Studies presso l’Università di Padova, ha ottenuto negli ultimi cinquant’anni sempre maggior attenzione dal mondo accademico scientifico.

Il sogno lucido è un fenomeno a metà tra il sogno e la veglia, che ci permette di esplorare “i sogni” in maniera consapevole, uno stato di coscienza a sé stante che può essere indotto attraverso una serie di pratiche e che può avere effetti molto positivi su noi stessi. In particolare ha ripercussioni positive sul nostro umore, grazie alle tonalità emotive superiori rispetto a quelle che sperimentiamo nel nostro stato di veglia, e sembra essere collegata ad abilità cognitive e tratti psicologici favorevoli, come ad esempio la sensazione di avere il controllo sugli eventi significativi della propria vita (ok, non semplicissimo di questi tempi, ma possibile), creatività, indipendenza, autonomia, e resilienza emotiva. Inoltre viene usato per affrontare la sindrome da stress post traumatico, il trattamento degli incubi e la risoluzione dei conflitti psicologici.

Ma la sfumatura più interessante del sogno lucido è probabilmente la porta che apre sulla nostra coscienza e sui suoi stati, che possiamo esplorare, sperimentare e conoscere sempre più a fondo e consapevolmente, aumentando la conoscenza di noi stessi e del nostro funzionamento e addentrandoci con curiosità in un mondo considerato magico fino a ben poco tempo fa. Tormen nel suo libro, infatti, ci offre anche una serie di pratiche, riprese dalla tradizione dello yoga tibetano, particolarmente utili per innescare questo fenomeno, notte dopo notte, e intraprendere un vero e proprio viaggio nella vostra mente.

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