Nel mirino del referendum il Jobs act con le tutele fissate dalla Consulta
I referendum sul lavoro appena ammessi dalla Corte costituzionale (si veda il Sole 24 Ore di ieri), se fossero approvati dal corpo elettorale, potrebbero riportare indietro di molti anni il nostro ordinamento giuslavoristico. La volontà di ottenere, anche simbolicamente, un ritorno al passato emerge con chiarezza dal quesito che, più degli altri, ha una valenza […] L'articolo Nel mirino del referendum il Jobs act con le tutele fissate dalla Consulta proviene da Iusletter.
I referendum sul lavoro appena ammessi dalla Corte costituzionale (si veda il Sole 24 Ore di ieri), se fossero approvati dal corpo elettorale, potrebbero riportare indietro di molti anni il nostro ordinamento giuslavoristico.
La volontà di ottenere, anche simbolicamente, un ritorno al passato emerge con chiarezza dal quesito che, più degli altri, ha una valenza politica: la richiesta di abrogazione integrale del Dlgs 23/2015, ossia la normativa sul contratto a tutele crescenti scaturita dal progetto di riforma del mercato del lavoro conosciuto come Jobs Act.
Quel decreto legislativo, dopo i tanti interventi normativi e giurisprudenziali di questi anni, ha ormai perso la sua connotazione originaria, tanto che oggi siamo di fronte a un paradosso normativo: il Dlgs 23/2015, nella versione risultante dai tanti cambiamenti intervenuti, non genera una reale differenza di trattamento (i casi in cui si applica la reintegra sono, salvo piccolissime eccezioni, gli stessi) e, anzi, in alcune sue parti può garantire tutele più ampie rispetto al “vecchio” articolo 18.
Nonostante questo paradosso normativo, i promotori del referendum perseguono con decisione l’obiettivo di cancellare la riforma del 2015, cercando di colpire, più che la sostanza dell’attuale disciplina, la carica simbolica del provvedimento.
Riguarda i licenziamenti anche il quesito che richiede di abrogare le norme (articolo 8 della legge 604/1966, e successive modifiche) che stabiliscono, per le imprese che non superano i 15 dipendenti, un regime indennitario meno gravoso di quello ordinario.
In particolare, il quesito mira a eliminare il tetto (sei mensilità) di indennizzo che si applica in caso di licenziamento illegittimo nei confronti dei datori di lavoro che non superano la fatidica soglia dei 15 dipendenti. Il quesito non tocca, invece, la tradizionale distinzione tra piccole imprese, che resterebbero soggette solo alla cosiddetta tutela obbligatoria (il licenziamento è punito solo con una sanzione economica) e imprese medie e grandi, che rimarrebbero soggette alla tutela reale (al risarcimento si aggiunge la reintegra).
L’abrogazione del tetto all’indennizzo avrebbe comunque un impatto molto forte, in quanto consentirebbe al giudice, qualora fosse accertata l’illegittimità di un licenziamento, di riconoscere un indennizzo economico sprovvisto di limitazioni quantitative ma collegato a diversi parametri (età, carichi familiari, capacità economica del datore di lavoro) decisi di volta in volta.
Il tentativo di ritornare in maniera decisa alle regole del passato emerge anche nel quesito sulla causale dei contratti a termine: si chiede di abrogare quelle norme che hanno introdotto la cosiddetta acausalità nei rapporti a tempo.
Si tratta di norme che non hanno liberalizzato il lavoro a termine – come confermano anche i dati – ma semplicemente hanno rimosso un requisito formale, la causale, che generava interminabili e costosi filoni di contenzioso.
Qualora fosse approvato il quesito referenderario, tornerebbe in vigore l’obbligo di indicare la causale (nei casi previsti dai contratti collettivi) per giustificare l’utilizzo di un rapporto a termine, salvo i casi di sostituzione di altri lavoratori.
Il quarto dei quesiti ammessi dalla Consulta punta all’abrogazione delle norme (articolo 26, comma 4, del Dlgs 81/2008) che limitano, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti o nei subappalti, la responsabilità dell’impresa committente per gli infortuni sul lavoro collegati alla specifica attività produttiva dell’impresa appaltatrice. Una distinzione, quella vigente, che tiene conto dell’impossibilità per il committente di gestire i rischi specifici dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici e, in maniera coerente, stabilisce una limitazione della sua responsabilità.
Il ritorno al passato è, quindi, la linea comune che tiene insieme i quesiti referendari. Questa non è di per sé una connotazione negativa – a volte è meglio correggere le riforme sbagliate, piuttosto che perseverare nella loro applicazione – se non fosse che si propone il ripristino di norme che hanno reso asfittico, ingessato e improduttivo il nostro mercato del lavoro.
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