I Treasury bond sono il punto nel nuovo ordine internazionale
Che i Treasuries siano il punto critico del nuovo ordine economico internazionale che Trump e il suo staff intendono costruire a tappe forzate è evidente dalla lettura di un importante documento, l’User’s Guide to Restructuring the Global Trading System. Non si tratta di un documento ufficiale, ma di una quarantina di pagine pubblicate in novembre... Leggi tutto
Che i Treasuries siano il punto critico del nuovo ordine economico internazionale che Trump e il suo staff intendono costruire a tappe forzate è evidente dalla lettura di un importante documento, l’User’s Guide to Restructuring the Global Trading System. Non si tratta di un documento ufficiale, ma di una quarantina di pagine pubblicate in novembre da Stephen Miran, allora privato cittadino e fellow del Manhattan Institute e nel frattempo nominato capo dei consiglieri economici della nuova Casa Bianca di Trump.
Avevamo già segnalato questo documento perché, a oggi, è la più organica presentazione delle linee guida che dal 20 gennaio ispireranno la nuova amministrazione non solo nella sfera economica, ma anche nella politica della sicurezza. Commercio globale, reindustrializzazione dell’America e sicurezza sono del resto visti come legati indissolubilmente. Non esiste sicurezza senza forza militare, non esiste forza militare senza reindustrializzazione, non esiste reindustrializzazione senza un ridisegno del commercio globale e dei rapporti con gli alleati, con gli avversari e con chi non vorrà collocarsi né tra gli alleati né tra gli avversari.
Questo legame tra economia e sicurezza in un contesto in cui l’America si sente insidiata come potenza egemone dall’ascesa della Cina dà l’idea del senso di urgenza che guiderà l’azione dell’amministrazione e della potenza di fuoco che questa metterà in campo sui vari fronti.
Lungo tutta la sua analisi, Miran, che è da considerare molto vicino alle posizioni di Bessent, mette in luce come, tra le variabili economiche e finanziarie, saranno proprio la gestione del debito pubblico e il livello dei tassi d’interesse, in particolare di quelli a lungo termine, a costituire l’elemento critico. Non preoccupa la crescita. Non preoccupa il dollaro, che continuerà ad essere valuta di riserva e il cui indebolimento è del resto uno degli obiettivi del progetto. Non preoccupa la Borsa, che compenserà le tensioni sui tassi con la forte crescita dell’economia. Non preoccupa l’occupazione dei nativi americani, che avrà una spinta dalla forte crescita e dalle restrizioni sull’immigrazione (con l’eccezione di quella qualificata). Non preoccupa l’inflazione, a patto che i dazi vengano introdotti gradualmente. Non preoccupa molto nemmeno il disavanzo pubblico in sé, che verrà contenuto dalla razionalizzazione della spesa pubblica e dalla forte crescita che genererà ampie entrate fiscali aggiuntive.
Quella che preoccupa è la capacità di collocare il debito pubblico a tassi non troppo elevati, non troppo costosi per il Tesoro e dannosi per la crescita.
Miran si esprime con grande prudenza, proporzionata alla delicatezza della questione. Ma il linguaggio morbido e sfumato lascia comunque trasparire i problemi. I Treasuries, che danno il meglio di sé nelle fasi di debolezza dell’economia, non saranno aiutati dalla sua forza. Non saranno aiutati dalla Fed, almeno fino a quando, nel 2026, non ne cambierà il vertice e la composizione in prevalenza democratica. La Fed, nel 2025, continuerà del resto sulla linea del Quantitative tightening e di fatto, lungi da aiutarlo, peserà sul mercato.
Ma è soprattutto la seconda parte del progetto a rendere delicata la posizione dei bond. Oggi viviamo in un mondo inondato di dollari creati per comprare i prodotti cinesi, giapponesi ed europei. Questi dollari ritornano in America e vengono usati per comprare Treasuries e azioni della tecnologia. Questo crea un circolo virtuoso, razionalizzato nel mito dell’eccezionalismo americano, perché il dollaro e Wall Street che salgono attirano nuovi capitali che li fanno salire ulteriormente.
Nel primo tempo del progetto (sei mesi, un anno) il dollaro rimarrà forte, perché sarà aiutato dai dazi. Nel secondo tempo, tuttavia, i dazi verranno ridotti se ci sarà una rivalutazione negoziata di renminbi, yen ed euro. A quel punto il circolo virtuoso degli asset finanziari americani potrebbe iniziare a girare all’incontrario. Il riequilibrio delle partite correnti ridurrebbe infatti la quantità di quei dollari che oggi vanno ad acquistare i titoli americani. Dal canto suo, la debolezza del dollaro indurrebbe molti portafogli a ridurre l’esposizione su Treasuries e Wall Street. L’America avrebbe a quel punto più industrie, ma avrebbe anche meno compratori per i suoi titoli.
Il problema è così evidente che l’America, nei suoi negoziati, potrebbe arrivare a richiedere ai suoi interlocutori, in cambio di un taglio dei dazi, l’impegno ad acquistare titoli del Tesoro Usa a 50 o 100 anni da mantenere segregati e congelati per tutta la durata dell’emissione. L’obiettivo sarebbe molteplice, ovvero ottenere un pegno dagli interlocutori, togliere dal mercato una parte importante delle emissioni a lungo e contenere i tassi a lungo termine.
Prepariamoci dunque a un mondo diverso
Il fatto che ci sia piena consapevolezza delle criticità del progetto da parte della nuova amministrazione è molto positivo ma la complessità delle sfide (anche per gli investitori di tutto il mondo) rimane. La speranza dell’amministrazione è che la nuova Fed che partirà nel 2026 sarà più incline a collaborare tagliando i tassi di policy e rendendo quindi più attraenti gli alti rendimenti della parte lunga della curva. Ma tutto questo dovrà avvenire mantenendo il controllo del dollaro e quello dei decennali. Per questo il secondo tempo presuppone un accordo politico tra gli Stati Uniti e il resto del mondo sulla falsariga di quello del Plaza del 1985 ma in realtà molto più ampio. Nell’accordo del Plaza entrarono in gioco solo i cambi, nel nuovo ordine che si prefigura entreranno collocazioni geopolitiche, spese militari, investimenti diretti esteri nell’apparato industriale americano da ricostruire.
La debolezza attuale dei bond è eccessiva se li si guarda con gli occhi del passato. L’ipervenduto ha già dato luogo a un inizio di recupero. I rendimenti sono invitanti. L’inflazione, dopotutto, è certamente sopra gli obiettivi ufficiali di policy, ma si mantiene in un range.
Vista però con gli occhi del futuro, la debolezza dei bond è la nuova normalità. Ci sarà una fase transitoria (sei mesi, un anno) in cui saranno possibili rally dei bond lunghi ma più avanti, come abbiamo visto, saremo immersi in una realtà che per l’obbligazionario non sarà necessariamente più negativa, ma molto probabilmente più incerta.
Godiamoci questa fase intermedia e prepariamoci per tempo alla successiva.
A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos (rubrica Il Rosso e il Nero)
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