Giubileo: un’occasione per ricucire la cristianità
Più che i temi sociali e civili, più che le strategie di politica globale, più che gli appelli contro le guerre che dilaniano il pianeta... In questo Giubileo della Speranza, Papa Francesco dovrebbe rivolgersi soprattutto ai propri fedeli. E prendersene cura.Cosa dobbiamo sperare per il Giubileo che si è aperto da poco? No, non intendo il numero di pellegrini che verranno o le opere pubbliche da finire. E non intendo nemmeno gli effetti dei messaggi papali dedicati alla «martoriata Ucraina» e in Medio Oriente, con la solita, inascoltata invocazione alla pace e alla fine di ogni conflitto perché «ogni guerra è una sconfitta». No, intendo qualcosa che attiene direttamente al significato pastorale e religioso del Giubileo, alla missione della Chiesa e del Papato rispetto ai cristiani.Il discorso slitta sempre su temi civili e sociali, dalle guerre all’immigrazione, dalle minoranze lgtbq+ all’emancipazione della donna, dai rapporti con l’America di Trump a quelli con il mondo islamico o la Cina. Non si parla mai di un tema cruciale per la Chiesa e per la cristianità, che vivono - come ben sappiamo - un declino senza precedenti di fede, di fedeli e di vocazioni, di presenze in chiesa e di pratica religiosa. C’è un punto di partenza a cui il papa si dovrebbe dedicare, preliminare a ogni altro: ricucire la frattura in seno alla chiesa tra i credenti, nel popolo cristiano, diviso tra conservatori e progressisti, tra fedeli alla Tradizione e impegnati sul piano umanitario. È una frattura annosa e profonda, una ferita che si acuì ai tempi del Concilio Vaticano II, e a cui pochi pontefici hanno cercato di porre rimedio. Tra questi Giovanni Paolo II, che parlava ai cattolici di ogni versante. Bergoglio, in questi dodici anni di papato, ha decisamente spostato il baricentro della Chiesa sul versante moderno della laicità, del dialogo con i non cristiani, dell’apertura oltre l’Europa e l’Occidente; la priorità ai migranti e ai poveri, l’apertura alle donne e agli omosessuali. Anche se non sono mancati segnali in senso inverso, a volte palesemente contraddittori rispetto alla linea seguita, ai vescovi e cardinali da lui nominati e quelli messi da parte: dall’aborto ad alcune battute sulla «frociaggine» e sulle lobby gay nella Chiesa, o a certi richiami alla fede mariana. Ma il profilo generale di questo papato si inscrive in quella linea che preferisce il dialogo interreligioso al dialogo intercristiano; e l’apertura ai laici e ai non credenti più che ricucire tra cattolici progressisti e cattolici tradizionali. Già il filosofo Augusto del Noce notava, diversi anni fa, che i cattolici progressisti si sentono più vicini e più propensi al dialogo coi progressisti non cattolici piuttosto che con i cattolici non progressisti; la fede cristiana è per loro una variabile secondaria rispetto all’opzione progressista. La stessa cosa sembra avvenire con Bergoglio.Finora questa è stata una critica al suo papato; ora, nell’anno del Giubileo, diventi un’esortazione, un accorato appello: provi a ricucire la spaccatura della Chiesa tra questi due versanti, a diventare veramente pontifex tra le due sponde. Sono già pochi i credenti e ancora più scarsi sono i praticanti: se a loro volta sono divisi e ostili, si riducono a minoranze del tutto marginali. Faccia uno sforzo, Francesco, provi a dialogare con i cattolici tradizionali, dialoghi con loro come dialoga con gli islamici, con gli atei, con i non credenti; trovi anche uno Scalfari nel versante opposto, tra i cattolici di sempre. Provi a conciliare i due mondi dentro la Chiesa, ponendosi come il garante e il pastore di entrambi. Rilanci dei segnali, anche liturgici, riprenda in considerazione la messa in latino come possibilità alternativa, riapra il discorso sulle figure che hanno rappresentato al meglio quella scelta di fede, rivolga messaggi e carezze anche a loro; non li tratti come nemici o come membri di chissà quale Ku Klux Klan. Ha senso opporre a Trump un vescovo progressista, filo-lgtbq+? È davvero convinto che il presidente Usa sia il male assoluto? Non le dice nulla la sua intenzione di metter pace almeno in Ucraina, difendere la famiglia e la religione e opporsi all’aborto? Certo, poi c’è l’altro Trump, indigesto magnate e spaccone, con una mentalità che fa a pugni con la fede cristiana.Ma il Papa si confronta con capi di Stato che hanno portato la guerra dappertutto, che hanno approvato stragi «umanitarie» di civili, che promuovono la società libertaria in tema di droga, sesso e nichilismo. Perché non provare, anche in questo caso a stimolare la parte positiva di quella parte che sostiene Trump nel mondo? Dico Trump perché è il tema del momento, ma lo stesso discorso vale per tutti i Grandi della Terra, quasi tutti provenienti da altre tradizioni religiose o dall’ateismo. Il tentativo di una Conciliazione tra cattolici progressisti e cattolici tradizionali, a mio parere, dovrebbe andare oltre i Portoni del cattolicesimo. Il dialogo interreligioso, che è benefico e sacrosa
Più che i temi sociali e civili, più che le strategie di politica globale, più che gli appelli contro le guerre che dilaniano il pianeta... In questo Giubileo della Speranza, Papa Francesco dovrebbe rivolgersi soprattutto ai propri fedeli. E prendersene cura.
Cosa dobbiamo sperare per il Giubileo che si è aperto da poco? No, non intendo il numero di pellegrini che verranno o le opere pubbliche da finire. E non intendo nemmeno gli effetti dei messaggi papali dedicati alla «martoriata Ucraina» e in Medio Oriente, con la solita, inascoltata invocazione alla pace e alla fine di ogni conflitto perché «ogni guerra è una sconfitta». No, intendo qualcosa che attiene direttamente al significato pastorale e religioso del Giubileo, alla missione della Chiesa e del Papato rispetto ai cristiani.
Il discorso slitta sempre su temi civili e sociali, dalle guerre all’immigrazione, dalle minoranze lgtbq+ all’emancipazione della donna, dai rapporti con l’America di Trump a quelli con il mondo islamico o la Cina. Non si parla mai di un tema cruciale per la Chiesa e per la cristianità, che vivono - come ben sappiamo - un declino senza precedenti di fede, di fedeli e di vocazioni, di presenze in chiesa e di pratica religiosa.
C’è un punto di partenza a cui il papa si dovrebbe dedicare, preliminare a ogni altro: ricucire la frattura in seno alla chiesa tra i credenti, nel popolo cristiano, diviso tra conservatori e progressisti, tra fedeli alla Tradizione e impegnati sul piano umanitario. È una frattura annosa e profonda, una ferita che si acuì ai tempi del Concilio Vaticano II, e a cui pochi pontefici hanno cercato di porre rimedio. Tra questi Giovanni Paolo II, che parlava ai cattolici di ogni versante.
Bergoglio, in questi dodici anni di papato, ha decisamente spostato il baricentro della Chiesa sul versante moderno della laicità, del dialogo con i non cristiani, dell’apertura oltre l’Europa e l’Occidente; la priorità ai migranti e ai poveri, l’apertura alle donne e agli omosessuali. Anche se non sono mancati segnali in senso inverso, a volte palesemente contraddittori rispetto alla linea seguita, ai vescovi e cardinali da lui nominati e quelli messi da parte: dall’aborto ad alcune battute sulla «frociaggine» e sulle lobby gay nella Chiesa, o a certi richiami alla fede mariana.
Ma il profilo generale di questo papato si inscrive in quella linea che preferisce il dialogo interreligioso al dialogo intercristiano; e l’apertura ai laici e ai non credenti più che ricucire tra cattolici progressisti e cattolici tradizionali.
Già il filosofo Augusto del Noce notava, diversi anni fa, che i cattolici progressisti si sentono più vicini e più propensi al dialogo coi progressisti non cattolici piuttosto che con i cattolici non progressisti; la fede cristiana è per loro una variabile secondaria rispetto all’opzione progressista. La stessa cosa sembra avvenire con Bergoglio.
Finora questa è stata una critica al suo papato; ora, nell’anno del Giubileo, diventi un’esortazione, un accorato appello: provi a ricucire la spaccatura della Chiesa tra questi due versanti, a diventare veramente pontifex tra le due sponde. Sono già pochi i credenti e ancora più scarsi sono i praticanti: se a loro volta sono divisi e ostili, si riducono a minoranze del tutto marginali. Faccia uno sforzo, Francesco, provi a dialogare con i cattolici tradizionali, dialoghi con loro come dialoga con gli islamici, con gli atei, con i non credenti; trovi anche uno Scalfari nel versante opposto, tra i cattolici di sempre.
Provi a conciliare i due mondi dentro la Chiesa, ponendosi come il garante e il pastore di entrambi. Rilanci dei segnali, anche liturgici, riprenda in considerazione la messa in latino come possibilità alternativa, riapra il discorso sulle figure che hanno rappresentato al meglio quella scelta di fede, rivolga messaggi e carezze anche a loro; non li tratti come nemici o come membri di chissà quale Ku Klux Klan.
Ha senso opporre a Trump un vescovo progressista, filo-lgtbq+? È davvero convinto che il presidente Usa sia il male assoluto? Non le dice nulla la sua intenzione di metter pace almeno in Ucraina, difendere la famiglia e la religione e opporsi all’aborto? Certo, poi c’è l’altro Trump, indigesto magnate e spaccone, con una mentalità che fa a pugni con la fede cristiana.
Ma il Papa si confronta con capi di Stato che hanno portato la guerra dappertutto, che hanno approvato stragi «umanitarie» di civili, che promuovono la società libertaria in tema di droga, sesso e nichilismo. Perché non provare, anche in questo caso a stimolare la parte positiva di quella parte che sostiene Trump nel mondo? Dico Trump perché è il tema del momento, ma lo stesso discorso vale per tutti i Grandi della Terra, quasi tutti provenienti da altre tradizioni religiose o dall’ateismo.
Il tentativo di una Conciliazione tra cattolici progressisti e cattolici tradizionali, a mio parere, dovrebbe andare oltre i Portoni del cattolicesimo. Il dialogo interreligioso, che è benefico e sacrosanto, dovrebbe partire dal mondo più vicino: per storia, tradizione, spiritualità, la prima interlocutrice dovrebbe essere la chiesa ortodossa, russa, di rito greco-bizantino.
Anzi in questo caso si dovrebbe andare al di là del dialogo tra religioni; si dovrebbe tentare, magari ponendosi come traguardo il 2033 quando l’intera cristianità celebrerà in uno speciale Giubileo il bimillenario della Redenzione di Gesù Cristo, di ricucire lo scisma tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente. Quasi impossibile appare la fusione, ma qualcosa che si avvicini il più possibile a un processo di riunificazione sarebbe un potente messaggio non solo pastorale e spirituale ma anche storico e geopolitico. Ci provi, Santità, se vuole essere all’altezza di quell’appellativo che deriva dalla tradizione. n
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