Funzionerà la tregua fra Hamas e Israele benedetta da Trump?
Obiettivi, incognite e scenari dopo la tregua firmata tra Hamas e Israele su Gaza. Estratto da Appunti a cura di Stefano Feltri.
Obiettivi, incognite e scenari dopo la tregua firmata tra Hamas e Israele su Gaza. Estratto da Appunti a cura di Stefano Feltri
A ottobre 2024 Donald Trump, all’epoca ancora soltanto candidato alla Casa Bianca, aveva detto al premier israeliano Benjamin Netanyahu: fai quello che devi fare, ma fallo prima del 20 gennaio.
Trump ha vinto anche presentandosi come il presidente che ha tenuto l’America fuori da nuove guerre, anche se molte sue scelte hanno preparato il terreno per il disordine attuale.
Dunque, Trump vuole che la sua presidenza inizi il 20 gennaio, lunedì, nelle condizioni più serene possibili. In questi due mesi ha governato come se fosse già alla Casa Bianca, il suo team ha lavorato per costringere Russia e Ucraina a sospendere le ostilità – per ora senza risultato – e per ereditare un Medio Oriente se non pacificato almeno in una fase nuova.
E infatti è proprio Trump, prima ancora del premier del Qatar Mohammed al-Thani ad annunciare la tregua tra Israele e Hamas sulla guerra di Gaza. Le tempistiche sembrano quelle che Trump auspicava: troppo tardi per permettere al presidente uscente Joe Biden di rivendicarne il merito, ma in tempo perché la nuova amministrazione Trump si intesti il compito di indirizzare il Medio Oriente verso un assetto post-bellico.
Sembrano i primi risultati della dottrina che Trump ha rivendicato in questi mesi, quella riassunta nello slogan “pace attraverso la forza”. In realtà lo slogan era di Ronald Reagan e non è chiaro quale sia la forza che gli Stati Uniti trumpiani esibiscano, visto che promettono disimpegno e isolazionismo, non deterrenza e interventi militari contro gli avversari.
Peraltro, non è affatto detto che una tregua nel massacro renda più agevole il compito del nuovo presidente.
Dall’attacco del 7 ottobre 2023 di Hamas a Israele sono morti almeno 1139 israeliani quel giorno e circa 47.000 palestinesi nella successiva operazione militare dell’esercito israeliano a Gaza.
Dunque, congelare le ostilità serve sicuramente a evitare altri inutili stragi di palestinesi, ma non risolve le complessità politiche del nuovo assetto della Striscia e della Cisgiordania, cioè l’altra parte di territorio rivendicata dai palestinesi ma piena di colonie illegali israeliane.
Netanyahu ha rinviato i problemi, non ha favorito in alcun modo l’emersione di una leadership palestinese alternativa ad Hamas, molti nel suo governo hanno fatto la scommessa che con il cambio di amministrazione americana sarebbero venuti meno anche le scarsamente efficaci resistenze di Biden all’uso più brutale della forza e alle soluzioni più radicali delle questioni territoriali.
La tregua prevede tre fasi, divise in blocchi di 42 giorni ciascuna, nella prima Hamas rilascerebbe 33 ostaggi israeliani e Israele 30 prigionieri palestinesi per ogni israeliano. Una proporzione, un tasso di cambio tra vite umane, che è quasi analogo a quello dei morti nella guerra rispetto a quelli del 7 ottobre.
In questa fase a Gaza entrerebbero più aiuti umanitari, i palestinesi potrebbero tornare nelle loro case.
Nella fase 2, quella della “calma sostenibile”, Hamas dovrebbe rilasciare gli ultimi ostaggi, in cambio di altri prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.
La terza fase sarebbe quella degli ultimi scambi, dei cadaveri dei morti avversari in questo caso, e della ricostruzione di Gaza.
Netanyahu ha usato la crisi di Gaza per ridisegnare i rapporti di forza nell’area e indebolire i nemici, in particolare l’Iran che considera il responsabile ultimo delle azioni terroristiche dei gruppi che minacciano Israele sui due fronti.
L’esercito israeliano ha ucciso tutti i leader di Hamas, che oggi è guidata da Mohammed Sinwar, fratello di Yahia, morto anche lui, e ha distrutto anche i vertici e gran parte della capacità operativa di Hezbollah in Libano. La milizia di ispirazione iraniana ha perso il capo, Hassan Nasrallah, ucciso dagli israeliani, e anche molta capacità offensiva.
Israele poi ha colpito le milizie legate all’Iran anche in Iraq e in Siria, dove è caduto il regime di Bashar al-Assad, sostenuto dalla Russia di Vladimir Putin e spesso alleato dell’Iran.
Quasi a sancire l’inizio di nuovi equilibri, il Libano ha finalmente un nuovo premier, dopo una lunga paralisi politica che ha visto il Paese avvicinarsi a diventare uno Stato fallito.
(Estratto da Appunti)
What's Your Reaction?