Due morti due pesi: quando la politica sceglie chi ricordare
Si chiamava Valeri Naumov Videnov, il 49enne bulgaro che Il 24 marzo del 2024 ha perso la vita mentre cercava di sfuggire a un posto di blocco della polizia a Nettuno in provincia di Roma. Il figlio, gravemente ferito, ha lottato per sopravvivere.Un nome, quello di Videnov, che è passato inosservato, senza suscitare particolare clamore. Al contrario del caso di Ramy Elgaml, giovane egiziano morto in circostanze simili durante un inseguimento con i Carabinieri, che invece ha innescato proteste, violenza, accuse contro le forze dell’ordine e un intenso dibattito pubblico.Perché alcune tragedie diventano simboli di denuncia contro le forze dell’ordine, mentre altre passano quasi inosservate? Abbiamo approfondito la questione con il sociologo ed ex maggiore dei Carabinieri Francesco Caccetta.«La risposta non è nella tragedia in sé, ma nella narrazione che ci viene venduta», spiega CaccettaChe ne pensa delle proteste?«Le proteste non nascono dalla difesa della vita umana in sé, e in questo caso di Ramy ma dalla volontà di strumentalizzare alcuni episodi per attaccare le istituzioni. Spesso accade che, la politica tenda a reagire in base alla possibilità di cavalcare l’emozione pubblica per rafforzare posizioni preesistenti. Una parte dell’opinione pubblica e politica può enfatizzare casi che coinvolgono immigrati o minoranze, legandoli a questioni come il razzismo istituzionale o la brutalità della polizia. Al contrario, tragedie simili che riguardano individui percepiti come meno simbolici – ad esempio, cittadini stranieri di origine europea o persone con un passato controverso – rischiano di non ottenere la stessa visibilità, perché non alimentano una narrativa utile a determinati scopi politici. Questa selettività può polarizzare il dibattito pubblico. Da un lato, chi critica le forze dell’ordine potrebbe utilizzare alcune tragedie per accusarle di abusi sistemici; dall’altro, chi le difende potrebbe vedere queste critiche come attacchi strumentali e ideologici. Il risultato è che, al centro di questa contesa, le vittime e le loro storie vengono spesso dimenticate come persone e ricordate solo come simboli di battaglie politiche. Riconoscere questa dinamica è fondamentale per riportare l’attenzione sulla dignità delle vittime e sul bisogno di analisi equilibrate, lontane dalla strumentalizzazione politica e più vicine alla ricerca della verità e della giustizia».Ricorda altri casi?«Durante le proteste contro il G8 a Genova, Carlo Giuliani, un manifestante di 23 anni, perse la vita in circostanze tragiche. Mentre tentava di lanciare un estintore contro un veicolo dei Carabinieri, fu colpito da un proiettile sparato da un giovane carabiniere, Mario Placanica, che agì per legittima difesa e nel 2006, il gruppo parlamentare di Rifondazione Comunista al Senato decise di intitolare a Carlo Giuliani la sede del proprio ufficio di presidenza. Ma la vita umana ha un valore universale e non può essere usata come arma politica. Le forze dell’ordine non sono infallibili, ma il loro operato è fondamentale per garantire la sicurezza di tutti. Demonizzarle sistematicamente non aiuta nessuno, anzi, danneggia la coesione sociale. È necessario un dibattito più equilibrato e onesto, che riconosca le difficoltà del loro lavoro e metta al centro il rispetto per tutte le vite umane, senza selettività o strumentalizzazioni».Cosa ne pensa dei due incidenti?« Le forze dell’ordine operano in contesti spesso estremamente difficili e rischiosi. Inseguire un veicolo che non si ferma a un posto di blocco non è una scelta arbitraria: è un dovere. In queste situazioni, però, gli agenti vengono giudicati solo a posteriori, spesso senza considerare la complessità delle loro decisioni prese in pochi secondi. Gli inseguimenti non sono scelte facili né gratuite: servono a fermare potenziali pericoli. Trasformarli in simboli di abuso di potere è una lettura parziale e strumentale».TUTTE LE NEWS
Si chiamava Valeri Naumov Videnov, il 49enne bulgaro che Il 24 marzo del 2024 ha perso la vita mentre cercava di sfuggire a un posto di blocco della polizia a Nettuno in provincia di Roma. Il figlio, gravemente ferito, ha lottato per sopravvivere.
Un nome, quello di Videnov, che è passato inosservato, senza suscitare particolare clamore. Al contrario del caso di Ramy Elgaml, giovane egiziano morto in circostanze simili durante un inseguimento con i Carabinieri, che invece ha innescato proteste, violenza, accuse contro le forze dell’ordine e un intenso dibattito pubblico.
Perché alcune tragedie diventano simboli di denuncia contro le forze dell’ordine, mentre altre passano quasi inosservate? Abbiamo approfondito la questione con il sociologo ed ex maggiore dei Carabinieri Francesco Caccetta.
«La risposta non è nella tragedia in sé, ma nella narrazione che ci viene venduta», spiega Caccetta
Che ne pensa delle proteste?
«Le proteste non nascono dalla difesa della vita umana in sé, e in questo caso di Ramy ma dalla volontà di strumentalizzare alcuni episodi per attaccare le istituzioni. Spesso accade che, la politica tenda a reagire in base alla possibilità di cavalcare l’emozione pubblica per rafforzare posizioni preesistenti. Una parte dell’opinione pubblica e politica può enfatizzare casi che coinvolgono immigrati o minoranze, legandoli a questioni come il razzismo istituzionale o la brutalità della polizia. Al contrario, tragedie simili che riguardano individui percepiti come meno simbolici – ad esempio, cittadini stranieri di origine europea o persone con un passato controverso – rischiano di non ottenere la stessa visibilità, perché non alimentano una narrativa utile a determinati scopi politici. Questa selettività può polarizzare il dibattito pubblico. Da un lato, chi critica le forze dell’ordine potrebbe utilizzare alcune tragedie per accusarle di abusi sistemici; dall’altro, chi le difende potrebbe vedere queste critiche come attacchi strumentali e ideologici. Il risultato è che, al centro di questa contesa, le vittime e le loro storie vengono spesso dimenticate come persone e ricordate solo come simboli di battaglie politiche. Riconoscere questa dinamica è fondamentale per riportare l’attenzione sulla dignità delle vittime e sul bisogno di analisi equilibrate, lontane dalla strumentalizzazione politica e più vicine alla ricerca della verità e della giustizia».
Ricorda altri casi?
«Durante le proteste contro il G8 a Genova, Carlo Giuliani, un manifestante di 23 anni, perse la vita in circostanze tragiche. Mentre tentava di lanciare un estintore contro un veicolo dei Carabinieri, fu colpito da un proiettile sparato da un giovane carabiniere, Mario Placanica, che agì per legittima difesa e nel 2006, il gruppo parlamentare di Rifondazione Comunista al Senato decise di intitolare a Carlo Giuliani la sede del proprio ufficio di presidenza. Ma la vita umana ha un valore universale e non può essere usata come arma politica. Le forze dell’ordine non sono infallibili, ma il loro operato è fondamentale per garantire la sicurezza di tutti. Demonizzarle sistematicamente non aiuta nessuno, anzi, danneggia la coesione sociale. È necessario un dibattito più equilibrato e onesto, che riconosca le difficoltà del loro lavoro e metta al centro il rispetto per tutte le vite umane, senza selettività o strumentalizzazioni».
Cosa ne pensa dei due incidenti?
« Le forze dell’ordine operano in contesti spesso estremamente difficili e rischiosi. Inseguire un veicolo che non si ferma a un posto di blocco non è una scelta arbitraria: è un dovere. In queste situazioni, però, gli agenti vengono giudicati solo a posteriori, spesso senza considerare la complessità delle loro decisioni prese in pochi secondi. Gli inseguimenti non sono scelte facili né gratuite: servono a fermare potenziali pericoli. Trasformarli in simboli di abuso di potere è una lettura parziale e strumentale».
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