Battista, Net Insurance: «Exit, come portarla a termine senza strascichi»

Sviluppare un’azienda di successo è un’impresa che pochi sanno mettere in pratica. Ma anche realizzare una buona Exit – con tutte le attività collegate alla vendita e cessione delle quote acquisite – è un’operazione fondamentale e delicata per risultare un altro successo per tutti. Per chi vende, per chi compra, per chi esce e chi […] L'articolo Battista, Net Insurance: «Exit, come portarla a termine senza strascichi» proviene da ilBollettino.

Jan 15, 2025 - 00:52
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Battista, Net Insurance: «Exit, come portarla a termine senza strascichi»

Sviluppare un’azienda di successo è un’impresa che pochi sanno mettere in pratica. Ma anche realizzare una buona Exit – con tutte le attività collegate alla vendita e cessione delle quote acquisite – è un’operazione fondamentale e delicata per risultare un altro successo per tutti. Per chi vende, per chi compra, per chi esce e chi rimane. Soprattutto, per l’azienda stessa e il suo futuro.

«L’uscita dalle quote della società è spesso la linea del traguardo di un percorso a ostacoli» dice Andrea Battista, Amministratore Delegato di Net Insurance, acquisita nel 2018 attraverso la SPAC Archimede e condotta all’offerta pubblica di acquisto totalitaria portata a termine nel 2023 da Poste Vita e IBL Banca. Proprio per condividere la sua esperienza in materia ha scritto il volume Exit strategy, pubblicato da LUISS University Press

La buona Exit rafforza l’azienda

«L’Exit ha per sua natura un forte potenziale ricombinatorio, perché riposizionando l’impresa presso nuovi azionisti o soggetti imprenditoriali si riallocano tutti i fattori produttivi impiegati nel precedente, e diverso, contesto. Ogni buona operazione tende quindi a rinforzare e non a debilitare l’organismo aziendale».

Come si vendono efficacemente le quote detenute in una società?

«Innanzitutto l’opzione Exit, come per una qualsiasi operazione di Private Equity, va sempre mantenuta nel radar screen dell’imprenditore, nell’interesse degli azionisti e dell’impresa stessa. Ogni azienda è una creatura di per sé fragile ma che tende a sopravvivere indefinitamente nel tempo, o almeno prova a farlo. Ne consegue che l’Exit degli investitori non può e non deve avvenire a scapito della sopravvivenza o dello sviluppo dell’impresa, in quanto aggregato di valore, tangibile e intangibile, e realtà che trascende la soggettività di tutti gli stakeholder, inclusi  i rappresentanti della funzione imprenditoriale».

Ciò cosa significa?

«Significa che il fondatore, o il dominus pro tempore, non deve avere rispetto all’impresa un attaccamento morboso, tale da impedirne la separazione a qualsiasi condizione. A mio avviso, l’atteggiamento equilibrato è l’approccio del buon padre di famiglia, che sa quando i figli devono spiccare il volo. Una fuoriuscita efficace e fatta al momento giusto aumenta il potenziale di creazione di valore per l’azienda, a beneficio degli stakeholders rimasti e dei nuovi azionisti. In questo modo, la vita dell’impresa va ben oltre il suo fondatore e la sua conformazione iniziale».

Continuità o cambio del management

E per quanto riguarda la guida operativa dell’azienda?

«Tutto ciò non comporta necessariamente l’uscita del management in carica. A mio avviso ha anzi il dovere deontologico, verso gli azionisti, di dare il proprio incondizionato impegno a proseguire almeno per un congruo periodo dopo l’eventuale cambio di controllo, se questo è confacente agli interessi degli investitori e alla valorizzazione dell’impresa. L’assenza di questa disponibilità potrebbe rendere addirittura in alcuni casi l’impresa non contendibile o poco interessante. Allo stesso tempo, non c’è nessun particolare eroismo o purezza morale in questo approccio, nessun altruismo».

Cosa intende?

«Semplicemente, non c’è spazio logico e tecnico per considerazioni che vadano oltre l’impresa e il processo di generazione e distribuzione del valore. Rimanere o non rimanere alla guida dell’impresa è in funzione del progetto che l’Exit rappresenta e non può essere un mero tema di poltrone o ambizioni personali. È l’atteggiamento del manager-imprenditore che mi piace definire laico, ossia consapevole che l’impresa – ancorché frutto del proprio progetto, del lavoro proprio e di altre persone – trascende in primis sé stessi e chiunque altro».

I 5 elementi per valutare e gestire una Exit

Come deve essere valutato e sviluppato un progetto di disinvestimento?

«Bisogna considerare insieme queste variabili: il valore combinato ex post; la componente di valore che viene riconosciuta agli azionisti; la reputazione dell’offerente, ovvero della potenziale nuova governance; l’impatto sui rischi attuali e futuri che gravano sull’impresa, con loro eventuale mitigazione; la fattibilità dell’operazione complessiva. Questi cinque elementi delineano il quadro di valutazione che si delinea a monte della ricerca di una buona Exit. Come si può osservare, sono fattori oggettivi e non vi sono – né devono esserci – variabili soggettive e di matrice individuale, insomma i cosiddetti ego bias».

Quali sono altri passi importanti da compiere?

«Un altro elemento molto importante è il progetto industriale per il dopo, il futuro dell’impresa nel nuovo contesto di governance, con tutte le eventuali sinergie o cambiamenti da mettere a terra. Soprattutto, le nuove opzioni di crescita dei ricavi, che sono il principale indice del nuovo impulso allo sviluppo del business. Senza questo progetto e senza che si salvaguardi il valore sia attuale sia potenziale e si indichi un concreto valore aggiunto, è difficile se non impossibile considerare qualsiasi progetto, anche con cambio radicale del top management».

Come definire il prezzo giusto

Come si può definire un prezzo giusto per l’operazione?

«Il prezzo di Exit deve certo essere il più alto possibile – rimanendo ragionevole e congruo – per i vecchi azionisti, valutato con tutte le informazioni disponibili. Ma non deve mettere l’organismo impresa nella situazione di dover in seguito raggiungere obiettivi impossibili, assumendo rischi eccessivi e illogici per rendere l’investimento apprezzabile anche da parte dei nuovi azionisti. Il conflitto interno sarebbe all’ordine del giorno. I valori cosiddetti intangibili, per esempio, sono sempre un fattore chiave nel processo, perché sostanziano ed esaltano il potenziale combinatorio dell’operazione, creando lo spazio per visioni nuove e diverse, ancorché non sempre facili da quantificare. Se il premio sul prezzo è naturale, sono spesso i fattori intangibili che lo giustificano sotto il profilo fondamentale».

Nel caso di Net Insurance, come si può valutare l’Exit?

«L’impresa ha mantenuto la propria identità e rafforzato il proprio percorso di crescita, accelerando il passo e avvalendosi in positivo del nuovo contesto. I risultati finanziari sono stati superiori alle indicazioni del piano e alle previsioni dell’OPA. Nella logica di creazione di valore di lungo periodo, ogni valutazione in sede di Exit deve prendere in considerazione tutti gli stakeholders, vale a dire azionisti vecchi e nuovi, partner industriali, collaboratori dell’impresa. Con una punta di calibrato orgoglio e senza alcuna presunzione, Net Insurance è davvero esempio di buona Exit».

Il delisting di un’impresa quotata in Borsa

Che considerazioni si possono fare, in generale, sul delisting di un’impresa quotata in Borsa?

«Da tifoso del valore e della funzione del Mercato azionario, sono persuaso che ci sia delisting buono e delisting cattivo. Come per le SPAC, il delisting come moda e come prassi è da combattere con tutti i mezzi, intellettuali e professionali. Anche se gli amici di Borsa Italiana in ogni caso non sono felici quando c’è un’uscita dal listino, alcuni progetti – o meglio, progetti che includono il delisting come parte coerente ed essenziale – esaltano la funzione del Mercato azionario, che è sempre vincolata a circostanze di tempo e di luogo, a una funzione concreta e non è una necessità assoluta. In questo caso, la quotazione ha esaurito la sua utilità perché l’impresa entra in una fase di vita successiva. Se anche dopo l’Exit i target industriali vengono raggiunti – magari rivisti al rialzo per riflettere l’impatto del nuovo assetto – il nuovo contesto “privato” è indice di progresso verso la fase successiva della vita dell’impresa. Altre modalità, invece, deprimono anche sotto il profilo reputazionale il valore di impresa».

Potrebbe farci qualche esempio?

«Ad esempio, collocare in Borsa una minoranza delle quote e dopo dieci anni procedere al delisting a un prezzo più basso del momento originario, realizzando una sorta di più o meno inconsapevole portage a basso costo. È il delisting come fuga dalle promesse se non addirittura dalle responsabilità; come rigetto della stagnazione e della deriva verso il fallimento progettuale. La fuga in questo caso è reazione assolutamente umana, ma non è meritevole di elogi».

La resilienza è buona strategia e organizzazione

Quali altre indicazioni si possono ricavare dalla sua esperienza?

«Tante altre. E le espongo nel libro. Ad esempio, l’analisi di scenario da un lato e la robusta pianificazione dall’altro sono fondamenti di tutte le avventure imprenditoriali, la roccia su cui costruire imprese che paiono anche ardite. Mai presentarsi da un investitore importante senza aver fatto questi compiti a casa. Se non si dispone di un business plan ragionevolmente ben fatto, nessun investitore reagirà positivamente alla proposta. È pacifico che non bastino gli strumenti allo stato dell’arte della professione manageriale e che non sia sufficiente dichiararsi o essere davvero “data driven”. Sono necessarie flessibilità e adattabilità, in primis. Ma questo non implica che si possa fare a meno dei dati e degli strumenti di elaborazione preventiva e consuntiva delle attività di business. Nel caso di Net Insurance, come di molte altre imprese di questa epoca storica, lo scenario di riferimento è stato complessivamente avverso sotto il profilo economico, finanziario e infine geopolitico. Pandemia, inflazione, aumento repentino dei tassi, incertezza diffusa. Una sorta di permacrisi. Scenari permanentemente avversi rendono la resilienza uno dei principali fattori critici di successo. E la resilienza ha due genitori: la buona strategia e la buona organizzazione. È l’appropriata diversificazione del business e delle iniziative di sviluppo che crea un posizionamento resiliente nel corso del tempo».  ©

Articolo tratto dal numero del 15 gennaio 2025 de Il BollettinoAbbonati!

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