La tregua non vuole dire pace | L’analisi di Alberto D’Argenio
Su Repubblica Alberto D’Argenio dubita che la tregua in vigore da ieri tra Israele e Hamas sia l’inizio di una nuova stagione di pace in Medio Oriente. È piuttosto la prima vera sfida della seconda presidenza di Donald Trump, osserva, che in poche settimane nella regione si giocherà buona parte della sua credibilità internazionale.La prima […] L'articolo La tregua non vuole dire pace | L’analisi di Alberto D’Argenio proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.
Su Repubblica Alberto D’Argenio dubita che la tregua in vigore da ieri tra Israele e Hamas sia l’inizio di una nuova stagione di pace in Medio Oriente. È piuttosto la prima vera sfida della seconda presidenza di Donald Trump, osserva, che in poche settimane nella regione si giocherà buona parte della sua credibilità internazionale.
La prima fase dell’accordo tra Hamas e Israele imposto da un inedito e quanto mai efficace gioco di squadra tra i team di Biden e Trump, scade, contando da ieri, tra 42 giorni.
Al sedicesimo partiranno i negoziati per le due fasi successive.
Che dovranno portare alla fine permanente delle ostilità, al ritiro dell’Idf, al rilascio di tutti gli ostaggi vivi (in queste sei settimane ne usciranno 33 su 98), alla consegna dei corpi di chi non ce l’ha fatta, alla stesura del piano di ricostruzione di Gaza e alla creazione di un nuovo governo nella Striscia senza Hamas.
Nonché all’avvio del processo per la creazione di uno Stato palestinese.
Una sfida titanica dal punto di vista politico, pratico ed emotivo.
La politica interna a Israele e ai Territori sono il primo ostacolo.
Il premier Netanyahu con la firma della tregua ha perso il sostegno del partito del ministro della Sicurezza Ben Gvir mentre l’altro estremista al governo, il titolare delle Finanze Smotrich, minaccia di «rovesciare» l’esecutivo se non riprenderanno i combattimenti e Israele non occuperà in modo permanente Gaza.
Per Bibi — che pure sull’attuazione del piano di pace può contare sul soccorso dell’opposizione — non sarà facile destreggiarsi tra la necessità di compiacere Trump e quella di sfamare i suoi alleati oltranzisti senza compromettere il suo futuro politico, da sempre bussola di ogni sua decisione.
C’è poi il tema, forse ancora più complicato, del governo della Striscia.
L’Autorità palestinese del vecchio (e per molti screditato) Abu Mazen dovrebbe avere la forza di riformarsi per prendere il controllo anche di Gaza e garantirne sicurezza e ricostruzione.
Ma di riformarsi l’Anp non sembra volerne sapere.
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