Libertà di stampa, perché serve tenere alta l’attenzione sulla repressione del giornalismo in tutto il mondo

Il rapporto annuale della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) per il 2024 evidenzia i pericoli del giornalismo nel mondo. The post Libertà di stampa, perché serve tenere alta l’attenzione sulla repressione del giornalismo in tutto il mondo appeared first on The Wom.

Jan 17, 2025 - 16:22
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Libertà di stampa, perché serve tenere alta l’attenzione sulla repressione del giornalismo in tutto il mondo
Per giornalisti e giornaliste il mondo non è un posto sicuro: il rapporto annuale della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) per il 2024 evidenzia una situazione preoccupante per la loro sicurezza. Con 104 professionisti dei media uccisi, seppur in calo rispetto ai 129 del 2023, il dato è allarmante e testimonia l’esigenza di tenere alta l’attenzione sulla libertà di stampa nel mondo e sul trattamento riservato a chi esercita la professione giornalistica

A una settimana circa dal ritorno in Italia di Cecilia Sala, la giornalista di Chora Media e Il Foglio detenuta nel carcere di Evin (a Teheran) per 21 giorni, serve non smettere parlare di sicurezza e libertà per tutti i giornalisti e le giornaliste che indagano il mondo e lo raccontano.

Le storie emerse all’attenzione mediatica non sono le uniche. Insieme a loro, ce ne sono altre meno conosciute – o del tutto ignorate – e non per questo meno gravi: a testimoniarlo sono i numeri del rapporto annuale della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) che, oltre a evidenziare le limitazioni e le censure che giornalisti e giornaliste subiscono nel lavoro costante, sottolinea il pericolo di svolgere la propria professione in libertà nel mondo. In alcuni Paesi, come la Palestina, va peggio. Per questo motivo serve intensificare le voci capaci di raccontarlo e tutelare chi è in pericolo.

Nel 2024 sono stati uccisi 122 giornalisti nel mondo

Il 2024 è stato un anno nero per la stampa. La Federazione internazionale dei giornalisti ha diffuso il suo rapporto annuale, relativo al 2024, sugli attacchi al mondo dell’informazione. I giornalisti uccisi sono stati 122, di cui 14 sono donne.

La Palestina resta il territorio più pericoloso. Gli attacchi israeliani hanno ucciso 64 professionisti dei media palestinesi, sei libanesi e un siriano, che messi insieme rappresentano il 58 per cento di tutti i giornalisti uccisi nel 2024

Anche in altre aree del mondo la situazione non è migliore. Nella regione dell’Asia-Pacifico si sono contati sette giornalisti uccisi in Pakistan, cinque in Bangladesh, tre in India, uno in Cambogia e uno nelle Filippine. Nell’America latina ci sono stati cinque operatori media uccisi in Messico, due in Colombia e due ad Haiti, mentre in Africa i morti sono stati dieci, di cui sei in Sudan, due in Somalia, uno in Ciad e uno nella Repubblica democratica del Congo.

«Questi numeri evidenziano la fragilità della libertà di stampa e i pericoli della professione giornalistica. In un mondo sempre più segnato da regimi autoritari, il pubblico ha un bisogno urgente di informazione – ha commentato il segretario Generale della IFJ, Anthony Bellanger – Chiediamo agli Stati membri delle Nazioni Unite di adottare una convenzione vincolante sulla sicurezza dei giornalisti, per fermare le morti e le ferite che si verificano ogni anno».

In prigione 520 giornalisti, perché serve l’attenzione mediatica per tutte le storie

«Per non impazzire mi sono ritrovata a passare il tempo a contare le ore, a contarmi le dita, a leggere gli ingredienti del pane che erano l’unica cosa scritta in inglese» – ha raccontato Sala dei suoi giorni nel carcere di Evin. Alzare lo sguardo e vedere il cielo è stata il gesto che l’ha tenuta salva e salda. Come lei, nell’ultimo anno, sono stati detenuti 520 giornalisti. Contro i 427 del 2023.

La Cina, inclusa Hong Kong, continua a detenere il maggior numero di giornalisti (135), seguita da Israele con 59 giornalisti palestinesi e Myanmar con 44

La solidarietà dei media internazionali, così come il “rumore” necessario a tenere alta l’attenzione, non è la stessa per tutti i casi. Un dato di fatto denunciato in una conferenza stampa a Gaza organizzata lo scorso 9 gennaio e durante cui i giornalisti palestinesi hanno dichiarato di essere stati delusi dai media internazionali.

L’appello e la denuncia dei giornalisti palestinesi

«Non sappiamo quanti giornalisti dovrebbero essere uccisi in modo che si possa davvero agire e fermare l’impunità di Israele contro di noi» – ha detto il giornalista 21enne Abubaker Abed che ha tenuto un discorso in inglese alla comunità internazionale, continuando:

Ci avete visto versare lacrime per i nostri cari, colleghi, amici e familiari. Ci avete visti uccisi in ogni modo possibile. Siamo stati immolati, inceneriti, smembrati e sventrati e recentemente siamo morti congelati. Quali altri modi dovreste vederci uccisi, allora, in modo che tu possa muoverti e agire e fermare l’inferno inflitto su di noi?

Se, come indica la Costituzione italiana all’art.21, «la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure», il diritto all’informazione libera e sicura va tutelato sempre e ovunque. A prescindere dal contesto, dalla situazione di partenza, del proprio privilegio. «Non ci sono parole per descrivere quello che abbiamo passato, perché hai visto i nostri corpi, come sono diventati fragili, magri e stanchi, ma non ci siamo mai fermati», sottolinea Abubaker Abed.

Ne è un esempio l’uccisione della giornalista Shatha al Sabbagh, 22 anni, avvenuta lo scorso 28 dicembre: secondo la famiglia la polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese le ha sparato deliberatamente alla testa mentre era sulla porta di casa con la madre e i due nipoti. L’ANP nega.

L'ultimo saluto alla giornalista Shatha al Sabbagh, 22 anni
L’ultimo saluto alla giornalista Shatha al Sabbagh, 22 anni

Il cognato di Shatha ha raccontato che la giornalista era per strada insieme a sua madre e ai suoi nipotini di uno e tre anni quando è stata colpita intenzionalmente e senza alcuna ragione evidente. L’area, affermano i familiari e i testimoni, era sotto il controllo delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale, che sostavano proprio in un edificio vicino la casa della reporter. Shatha avrebbe avuto, inoltre, uno scambio acceso con alcuni membri della sicurezza che pretendevano che non filmasse gli striscioni dedicati ai combattenti di Jenin uccisi da Israele.

Il 15 gennaio Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Il giornalista palestinese Anas al-Sharif, corrispondente di Al Jazeera, nel dare la notizia si è simbolicamente tolto elmetto e giubbotto antiproiettile: il segno di una speranza di pace che duri nel tempo, anche per i giornalisti.

La libertà di stampa è in pericolo

Come ogni anno, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, Repoter Senza Frontiere (RFS) stila la classifica globale dei Paesi in cui l’attività giornalistica è sottoposta a limitazioni o censure.

Stando all’Indice mondiale sulla libertà di stampa prodotto da RFS, nel 2024 l’Italia è scesa di 5 posizioni rispetto all’anno precedente e, attualmente, si trova al 46° posto, su 180.

A minacciare la libertà di stampa sono proprio coloro che dovrebbero esserne i garanti: le autorità politiche. Questa constatazione si basa sul fatto che, dei cinque indicatori utilizzati per stilare la classifica, è proprio quello politico ad aver subito un calo maggiore, con una diminuzione globale di 7,6 punti. Secondo il rapporto dell’organizzazione no-profit, nel 2024 si è registrata una «chiara mancanza di volontà politica da parte della comunità internazionale di far rispettare i principi di tutela dei giornalisti, in particolare la Risoluzione 2222 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite».

Tra gli esempi virtuosi, al primo posto della classifica sulla libertà di stampa troviamo la Norvegia: è qui che il giornalismo risulta essere più libero e autonomo, seguita da Danimarca (2° posto) e Svezia (3°).

La libera informazione viene invece messa decisamente più a dura prova in Ungheria, Malta e Grecia: i tre Paesi Ue più bassi in classifica. Un segnale chiaro che allerta sulla necessità di non abbassare mai la guardia rispetto al processo democratico di cui la stampa è espressione.

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