La mancata iscrizione all’albo 106 tub non viola la normativa consumeristica
Con ordinanza dello scorso 22 ottobre 2024, il Tribunale di Brindisi ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la questione dell’omessa iscrizione nell’albo di cui all’art. 106 TUB delle società che acquistano e gestiscono crediti deteriorati e nello specifico quella relativa all’imposizione da parte del diritto dell’Unione della sanzione della nullità “delle procure all’incasso rilasciate […] L'articolo La mancata iscrizione all’albo 106 tub non viola la normativa consumeristica proviene da Iusletter.
Con ordinanza dello scorso 22 ottobre 2024, il Tribunale di Brindisi ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la questione dell’omessa iscrizione nell’albo di cui all’art. 106 TUB delle società che acquistano e gestiscono crediti deteriorati e nello specifico quella relativa all’imposizione da parte del diritto dell’Unione della sanzione della nullità “delle procure all’incasso rilasciate a soggetti non iscritti ad un albo vigilato dall’autorità indipendente di settore e incaricate della verifica dell’osservanza della normativa di contrasto del riciclaggio”.
Ebbene, con un’interessante sentenza emessa lo scorso 5 dicembre, il Tribunale di Prato, chiamato a pronunciarsi sulla questione nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto da un consumatore, ha avuto modo non solo di chiarire i profili di infondatezza dell’eccezione di mancata iscrizione all’albo 106 TUB della società cliente difesa dallo Studio, ma anche di sottolineare come la predetta ordinanza di rinvio non permettesse di giungere a conclusioni differenti.
Più nello specifico, il Giudicante ha dapprima precisato come “dalla norma che riserva lo svolgimento dell’attività di riscossione a determinati soggetti non si può infatti trarre la conseguenza dell’invalidità della procura a riscuotere affidata a chi sia privo del requisito soggettivo, stante quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite in ordine ai presupposti che consentono di trarre da una norma un divieto imperativo fonte di nullità virtuale: “la nullità negoziale deve discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi in mancanza di tali caratteri pretendere di applicare una sanzione, seppure di natura civilistica, tanto grave quale è la nullità del rapporto negoziale (cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 15/03/2022, n. 8472)”, concludendo per l’assenza di profili di invalidità del negozio rappresentativo che inficiassero la legittimazione processuale dell’opposta.
Successivamente, a riprova del proprio orientamento – confermato, come noto, anche dalla Corte di Cassazione (Cass. Sez. III, ordinanza 18 marzo 2023 n. 7243) -, il Tribunale ha sottolineato che il Giudice rimettente la questione alla CGUE “non ha individuato una norma proveniente dall’ordinamento europeo che predisponga tale sanzione in maniera chiara, precisa e incondizionata, così da poter spiegare il cd. effetto orizzontale nei rapporti privatistici. A tale scopo, infatti, non è sufficiente osservare come la volontà dell’ordinamento comunitario sia quella di “imporre agli Sati ogni misura che si renda necessaria e, al contempo, proporzionata al fine di contrastare” l’attività di riciclaggio. Né tantomeno una nullità di carattere così specifico può trarsi dall’ampia portata dei principi comunitari generali di trasparenza e tutela consumeristica, tesi a neutralizzare ogni forma di opacità dei meccanismi negoziali”.
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