Discriminazioni sul lavoro legate all’età: Italia esempio virtuoso?

Un recente studio condotto da CVwizard rileva che tra i lavoratori over 45, uno su due percepisce un atteggiamento discriminatorio in fase di candidatura. L’age discrimination (o age bias) si può definire, in questo contesto, come un pregiudizio che induce i recruiter a giudicare i candidati in base all’anno di nascita anziché alle competenze, attribuendo […] L'articolo Discriminazioni sul lavoro legate all’età: Italia esempio virtuoso? proviene da Economy Magazine.

Jan 23, 2025 - 14:52
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Discriminazioni sul lavoro legate all’età: Italia esempio virtuoso?

Un recente studio condotto da CVwizard rileva che tra i lavoratori over 45, uno su due percepisce un atteggiamento discriminatorio in fase di candidatura. L’age discrimination (o age bias) si può definire, in questo contesto, come un pregiudizio che induce i recruiter a giudicare i candidati in base all’anno di nascita anziché alle competenze, attribuendo valore in modo inversamente proporzionale all’età (maggiore è l’età del candidato, minore è la percezione della potenziale idoneità al ruolo). Il che, al di là delle considerazioni di principio, può avere ripercussioni negative nel breve e nel lungo periodo, creando un vero e proprio circolo vizioso: maggiori difficoltà di reinserimento e in generale uno svantaggio competitivo che può rallentare o arrestare percorsi di carriera già avviati, intaccando in parallelo i contributi per il pensionamento, quindi la stabilità economica e la tenuta dei piani previdenziali. Ma vediamo qualche numero in dettaglio.

Secondo il sondaggio – che ha coinvolto 1000 persone in cerca di impiego tra i 18 e i 60 anni ponendo dieci domande chiave, dall’utilità del titolo di studio all’adeguatezza del salario – i partecipanti nella fascia 45-60 riportano l’incidenza di discriminazione più alta (68%). I fattori di pregiudizio segnalati sarebbero diversi, ma è proprio l’età a essere indicata come bias più diffuso (47,06%), prima ancora della nazionalità (17,65%) e del genere (20,59%). Non a caso, la candidatura anonima per ridurre il rischio di atteggiamenti discriminatori è auspicata soprattutto dagli over 45 (78%), mentre ai 18-29enni interessa meno (67,14%).

Come si colloca l’Italia in questo scenario? Secondo gli ultimi dati ufficiali, il nostro paese ha raggiunto il numero record di occupati e il tasso di disoccupazione è ai minimi storici. In questo frangente, di segno innegabilmente positivo, i protagonisti della forza lavoro sono i lavoratori over 50, che rappresentano circa l’80% dell’aumento occupazionale complessivo registrato di recente. Il nostro paese sembra in buona sostanza procedere in controtendenza e fornire un esempio virtuoso, sul fronte delle discriminazioni legate all’età.

Ciò detto, questo tipo di bias rimane un fattore di rischio da non sottovalutare, sia perché può svilupparsi in forme “silenziose”, difficili da intercettare, sia perché, una volta in atto, si configura come fenomeno con potenziali effetti economici e sociali tutt’altro che secondari. D’altra parte, se da un lato la forza lavoro più matura, in Italia, pare al momento in larga parte attiva, dall’altro siamo di fatto un paese con un tasso di invecchiamento demografico tra i più elevati d’Europa: un dato che impone visione a lungo termine, consapevolezza e volontà di prevenire con lungimiranza.

È bene, pertanto, non abbassare la soglia di guardia. Prima di tutto, i candidati devono restare proattivi, aggiornare costantemente le proprie competenze, coltivare la formazione continua e aggiornarsi su nuovi linguaggi e strumenti, che riguardano l’ambito digitale e tecnologico in primis ma influenzano, di conseguenza e a cascata, ogni altro settore. È inoltre molto importante curare la propria identità professionale anche online, oltre a costruire una rete di contatti solida, in modo da alimentare opportunità di confronto, visibilità e collaborazione. Le aziende, dal canto loro, hanno la responsabilità di promuovere politiche di recruitment e gestione del personale fondate sull’inclusione, valorizzando la collaborazione tra generazioni come opportunità di scambio e arricchimento reciproco, non come ostacolo. In un mercato del lavoro in evoluzione sempre più rapida, l’età non dev’essere un limite, bensì un valore aggiunto. Per il benessere dei lavoratori e per la competitività delle stesse imprese.

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