Sull’Everest dopo un’inalazione di Xenon? Ne sappiamo ancora troppo poco
Qualche domanda sul “gas dei miracoli” a Giacomo Strapazzon, direttore di Eurac Research e presidente della SIMEM, che lavora sull’acclimatazione da anni. “Lo Xenon non è la panacea, e servono delle altre ricerche” L'articolo Sull’Everest dopo un’inalazione di Xenon? Ne sappiamo ancora troppo poco proviene da Montagna.TV.
Qualche anno fa, le camere ipossiche del centro Eurac Research di Bolzano hanno accolto Tamara Lunger e Simone Moro che si preparavano a tentare d’inverno i Gasherbrum. Tra qualche settimana Giacomo Strapazzon, direttore di Eurac, presenterà in un congresso scientifico a Lake Louise, in Canada, i risultati delle ricerche compiute su Federico Secchi e Tommaso Lamantia, i due alpinisti italiani che hanno salito nell’estate 2024 il K2, e che dopo essere tornati in patria sono stati riportati artificialmente ad alta quota, fin sugli 8848 metri dell’Everest.
A Strapazzon, che è anche il presidente della SIMEM, la Società Italiana di Medicina di Montagna, abbiamo chiesto lumi sul possibile utilizzo dello Xenon per velocizzare le ascensioni all’Everest.
Dottor Strapazzon, nei giorni scorsi ha destato scalpore la notizia del possibile uso dello Xenon, un gas normalmente usato come anestetico, per favorire una “acclimatazione-lampo” all’alta quota. Questa proprietà è stata provata dalla scienza?
I primi studi sulla pre-acclimatazione sono stati fatti qualche anno fa dall’Esercito degli Stati Uniti, che voleva avere dei reparti pronti a entrare in azione senza preavviso in Afghanistan, a quote di 3000 o 4000 metri. Poi ha lavorato su questo tema l’Università di Innsbruck.
Quali sono stati i risultati? La “cura” a base di Xenon può davvero servire agli alpinisti?
I risultati ottenuti fino a oggi non sono univoci, ci si dovrebbe lavorare ancora. Non ci sono dubbi che l’utilizzo dello Xenon stimoli i reni a produrre più eritropoietina (EPO), un ormone che incrementa la produzione di globuli rossi, che trasportano ossigeno nel sangue. Ma poi? In questi giorni ne ho parlato con altri ricercatori, e i miei dubbi sono condivisi.
Può spiegare meglio? Com’è possibile che esperimenti simili diano dei risultati diversi?
Dipende dai protocolli utilizzati. Quanto Xenon si respira, per quanto tempo… In un caso si è fatto respirare una miscela composta al 30% di Xenon per 20 minuti e una volta sola, in un altro la miscela era al 70%, ed è stata inalata per 2 minuti, per sette giorni consecutivi.
C’è qualche conclusione comune ai vari esperimenti?
Sì. Una è che l’effetto positivo dello Xenon dura poco, un massimo di 192 ore, cioè 8 giorni. Se lo si vuole usare per salire l’Everest, o un’altra cima, diventano essenziali le previsioni meteo per approfittare della finestra di bel tempo.
E poi?
L’altra conclusione – ma questo lo sapevamo già – è che sia lo Xenon, sia le nostre camere ipossiche, o le tende utilizzate dai clienti delle spedizioni commerciali, aiutano ad acclimatarsi fino a 4500/5500 metri. Più in alto serve l’acclimatazione tradizionale, e nella “zona della morte” oltre i 7000/7500 metri non ci si riesce ad acclimatare davvero.
Lei parla della preacclimatazione con le tende ipobariche, un metodo che agenzie come Furtenbach Expeditions e Alpenglow Expeditions utilizzano per preparare i loro clienti all’Everest. Ma per quanto tempo si resta acclimatati? Non c’è il rischio che il risultato svanisca nell’avvicinamento?
L’organismo resta acclimatato dai 7 ai 15 giorni, in qualche caso un po’ di più. Lo abbiamo verificato con Simone Moro e Tamara Lunger che sui Gasherbrum hanno avuto delle difficoltà logistiche, invece che in elicottero sono dovuti salire al campo-base a piedi e hanno in parte perso il vantaggio ottenuto qui da noi.
L’uso dello Xenon, come quello delle tende iperbariche, ha anche un risvolto etico. Lei cosa ne pensa?
L’alpinismo è una libera scelta, e ognuno decide come preferisce praticarlo. Sappiamo da tempo che per molti è importante solo salire sull’Everest, e per altri conta anche come lo si fa.
E’ vero, ma sappiamo anche che per alcuni clienti delle spedizioni commerciali il tempo conta più dei soldi.
Giusto. La vera domanda è se sia meglio dedicare qualche settimana ad acclimatarsi in montagna, o dormire male a casa propria per uno o due mesi prima della partenza. Ognuno decide per sé. In più, in Himalaya, c’è anche l’aspetto economico legato alle spedizioni commerciali, che porta molti soldi in aree altrimenti depresse. E’ importante anche quello.
Però lo Xenon, dal 2014, è considerato doping dalla WADA, ed è quindi vietato negli sport olimpici…
Vero, ma l’alpinismo non è uno sport olimpico. Si torna sempre alla libera scelta di ognuno.
Dal punto di vista scientifico, c’è una conclusione sull’utilità o meno dello Xenon?
Come le ho detto, non esistono studi conclusivi. Per quello che sappiamo si può dire che è certamente utile, ma non è una panacea universale.
Lei per lavoro si occupa spesso di acclimatazione all’alta quota. Su che temi state lavorando oggi all’Eurac?
Oltre all’acclimatazione fisica, che si verifica controllando i globuli rossi nel sangue, conta anche quella cognitiva. Non essere perfettamente lucidi, non controllare perfettamente i movimenti può essere pericoloso come non essere acclimatati dal punto di vista fisico.
Il vostro studio su Secchi e Lamantia, saliti sul K2 nell’estate scorsa, vi ha rivelato delle novità su questo punto?
Non le posso dire ancora nulla, sveleremo tutto a metà febbraio a Lake Louise.
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